2. Scavalcando cadaveri, la vetta

In paese scorreva il sangue. Ai cittadini era stato dato l’ordine di rinchiudersi nelle loro abitazioni finché il rituale della scelta si fosse compiuto. I quattro ragazzi risalivano le curve al seguito dei loro timori, ma tra le fiamme dell’ebbrezza loro s’annidava l’oscurità prossima, d’un inferno celato da tratti morbidi d’un giovane in erba, che andava aggredendo quei corpi che con mani esangui s’aggrappavano alle pietre.
“Stiamo disobbedendo all’ordine. Forse, le nostre famiglie stanno cercandoci.” Disse Alessandro.
Lorenzo si rigirò al suono dell’amico, mentre calpestava con noncuranza spalle e nervature. Uno dei monaci gridò di dolore al suo passaggio, i quattro distinsero il suono basso d’una spina dorsale che si frantumava all’assalto di lui che con le suole levitava sui cadaveri. Lorenzo maciullava le ossa degli infermi. Rabbrividirono.
“Siamo ragazzi di vita, mio amico. Siamo giovani dimenticati, in baratro delle diciture. Costretti ai campi, miserabili, abituati al lavoro forzato, non educati alla critica, ma solo alla fame a cui gli adulti ci costringono.” Dicendo ciò ancora si dimenava tra i corpi.
Lorenzo colpiva con fermezza, d’una crudeltà immonda s’adirava quell’anima volta al disprezzo, alla noncuranza del prossimo. A calci stava disegnando la sua strada e raccattava le membra afflitte spingendole sul ciglio della strada. Monaci e paesani vedevano l’orrore, la furia di lui, che pur minuto nella corporatura, questa era molesta.
“Lorenzo, tu stai a prendertela con invalidi, con deboli.” S’espresse Marcio, rimanendo in fondo al gruppo, con lo sguardo contornato dal timore.
“Questi degenti, hanno loro definito lotta di classe. Possedettero libero arbitrio. Scegliendo l’occulto, ora muoiono d’ostenti. Io sono solo di passaggio.”
“Anche noi abbiamo scelta.”
“Ah sì, Pietro? Avresti tu scelto codesta tua esistenza conoscendo ogni sfumatura in tenebra di cui si compone? Venendo in contatto con la violenza, la morte tra strade insulse, lo sforzo non retribuito, la corruzione e l’impurità che neanche in fede è risparmiata?”
Pietro s’indispettì, serrò le labbra, lo sguardo basso. Perse il confronto. Lorenzo annuì.
“L’unico modo d’essere liberi è essere scelti tra la massa. Da ultimi ad unici.”
Eccoli, finalmente, in vetta. Il tempio del Mastro era sorretto da colonne greche dalle scanalature accentuate, le colonne corinzie, il frontone adornato di simboli arcaici, nel moderno smarriti di senso. L’entrata era spalancata, due grandi portoni in legno era posti di lato. L’accolse la notte. Il buio, ora, era sol sconfitto delle fiaccole alle pareti, d’entrata alle olimpiadi, sol che queste erano di nozze al folle, all’uccisione, alla brutalità d’una vita intera. La piazza in cima era di brecce, di frammenti di pietra stagna, una colonia secondaria, al modo di Pompei, vuota, dove, di giorno, si sarebbe veduta tutta la sconfinatezza della valle, ma che ora rimaneva oscurata dalla morte che s’annidava tra gli scalini del tempio. La maestosità dell’edificio colpì i ragazzi che rimasero abbagliati da cotanta bellezza.
“Sempre sia lodato il trionfo della vetta.”
Allora quelli, che seppure proprio la cima era stata parte delle loro esistenza da sempre essendo un pezzo essenziale dell’unico centro cittadino con il quale siano mai venuti in contatto data la pochezza degli anni, ma soprattutto data fu la pochezza delle possibilità, erano comunque folgorati dall’arte di quei mosaici, delle rappresentazioni vivaci del sangue, delle idee, della distruzione.
“Anche gli antichi sapevano della ferocia umana e la possedevano nei loro scritti.”
“Come potevano tanto elogiarla?” Chiese Pietro.
Lorenzo, il migliore alunno dei dotti monaci, prese una pietra e la scaraventò sul cranio d’una donna in tunica scura che strisciava disperatamente al suolo nel tentativo d’arrivare al tempio, dove dagli interni, la madre stava orgogliendosi della fede dei suoi sudditi. La povera creatura spirò in un mare di liquidi corporei che si riversò in terra. Non bastarono le suppliche poste al ragazzo, egli non ebbe pietà alcuna.
“Non la elogiavano, la violenza è sol descritta, vivida analitica scolpita in roccia. Nessuno mai dovrebbe glorificare guerra.” Disse proprio l’assassino.
I suoi compagni cercarono a questo punto di placare la sua indole selvaggia, stanchi di tutto quel massacro a cui non potevano riporre rimedio, ma tanto sarebbe bastato almeno arrestare quella mano tormentata che si macchiava, di metro in metro, di crimini indicibili.
“Ti contraddici, Lorenzo! Tu che non glorifichi la violenza e poi la pratichi dinanzi a noi!” Disse Pietro, che fu il primo a fiondarsi alle spalle dell’amico, gli bloccò il polso destro.
“Cosa fai, Pietro? Non vedi che è morta ormai?” Chiese Lorenzo con ai piedi il cadavere dal cranio frantumato.
“Sei un assassino. Come puoi non aver pietà?” Alessandro gridò in sostengo.
“La violenza ripudiata, ma allo stesso tempo imposta.”
“Da chi?” Marcio gli bloccò entrambi le braccia, Alessandro corse in aiuto, ma rimase in disparte, era il più dei tre a possedere vero e proprio terrore nei riguardi di Lorenzo, ed egli lo sapeva, conosceva quanto quegli atti atroci gli avessero dato titolo di potente in mezzo agli uomini.
“Dal sociale.” Aggiunse Lorenzo.
“Nessuno ti impone d’uccidere!”
“Non nel modo in cui s’intende imporre.”
“Cosa vuol dire?”
“Voi!” Gridò una voce, un monaco, un uomo sul cinquanta, calvo, piangeva, il volto arrossato, le braccia tese. Si scagliò, accecato dall’odio, contro i ragazzi.
“Perché?”
Ne nacque un tumulto. Lorenzo si liberò dalla presa dei suoi e si fece di lato evitando la carica dell’uomo che cadde in terra nella breccia, insanguinandosi di misericordia, però che prima questo riuscì ad afferrare Marcio alla vita e a trascinarlo rovinosamente con lui fino all’estremità d’un dirupo laterale al tempio. Alessandro trattenne il fiato. Pietro s’era già convinto di vederli precipitare nel vuoto. I due, però, s’arrestarono, l’uno addosso all’altro. La testa di Marcio s’esponeva al baratro e vedendo il buio dell’abisso mancò a lui l’equilibrio.
“Aiuto!” Gridò.
Il corpo del ragazzo era però sorretto dall’abbraccio dell’aggressore che sembrava giacere in terra morto, finché non mosse il viso in direzione della preda. Due pupille del colore della terra, circondate dalle venature disegnate al credo della rabbia molesta, di quella a smarrire proprio l’umanità, si palesarono. Il cielo si fece ancora più rosso. Ovunque i monaci cercarono d’aizzarsi per soccorrere l’alleato, ma erano troppo indolenziti dai dolori che s’alternavano dal corporale all’etica, dall’ingiuria alla compostezza dei versi. La fame stringeva le viscere, erano solo dei ragazzi, avrebbero potuto ucciderli in così poco, ma questi erano lesti, agili e brutali.
“Marcio!” Gridò Pietro che cercò di raggiungere i due, ma fu placato da due giovani ventenni dai corpi scheletrici. Uno dei due aveva la tunica squarciata e questa mostrava le costole afflitte, mentre l’altro aveva esposte le clavicole. Nessuno avrebbe potuto dir come quegli esseri fossero ancora legati al mondo dei viventi, ma comunque la loro forza bastò a trattenere il piccolo e fragile Pietro, contadinotto delle basse terre. Alessandro non intervenne, paralizzato dal terrore. La frenesia imperversava in vetta, al successo, è lì che s’accumula l’euforia di sensi e finezza.
“Fermati, ragazzo! Sta vendicandosi. Vuol sangue sparso degli uccisori di sua moglie!” Il loro parlato non era del meridione, il volgare settentrionale temprava le bocche.
“È stato Lorenzo ad ucciderla!” Gridò Pietro immobilizzato, in tono infantile, ingenuo e spaventato si smarriva lume.
I due rivolsero gli occhi al giovine e quel che videro fu una figura enigmatica, contornata sì dalle premure della fanciullezza, ma dalle forme incerte, che davano spessore a due occhi opachi, febbrili, di complicata interpretazione. Quel che era certo, però, fu che al modo il ragazzo si compiaceva d’una accesa crudeltà insensata. Lorenzo reggeva in mano un frammento di pietra, pronto ad adoperarla per preservarsi da un imminente attacco.
“È il confronto.” Disse.
“Posa il macigno o sventriamo noi la gola del tuo compagno.” Quello con le costole esposte pose una lama al collo di Pietro che smise di divincolarsi e piangeva al modo dei bambini, di quelli nuovi all’imbrunire, ma era Notte ed il buio non ha freni, non sospira, non s’arresta nel riverbero.
“Non m’importa di lui. Io devo arrivare alla madre.” Disse e le sue parole fecero scalpore corrompendo il cuore dell’amico.
“Che tu sia dannato, Lorenzo!” Lo maledisse Pietro comprendendo che da parte di Lorenzo mai ci sarebbe stato sostegno.
A questo punto, i piani d’assalto furono però interrotti dalla stesura d’una danza macabra che conduceva i monaci al cospetto della scena. In pochi attimi, ogni angolo della vetta fu occupato dei membri del credo, tutti armati. Cadaveri in risorgimento, fuggiti alla morte per adempiere alla malvagità dell’esistenza. Avevano tutti rinunciato ad entrare nel tempio, circondando i ragazzi. Lorenzo fu costretto a lasciar cadere il masso ed arrendersi.
“Ecco l’uomo che s’unisce ai suoi simili solo quando il male lo affligge brutale.” Lorenzo urlò. Anche chi s’annidava nelle case udì indistintamente quelle parole.
“Soltanto quando tanti cadono e la morte è distribuita per le strade vi ravvedete, v’unite, tentando d’arrestare il massacro del vostro ego. Insultati nella clemenza e nell’ingegno da chi s’appresta ad arricchirsi su futili motivi, su vostra stupidità.”
Tutti stettero zitti, molti monaci calarono il capo.
“E perché solo ora? Perché siete incerti, egoisti. Il male deve attraversarvi dentro, deve scuotervi, portavi a scaraventarvi nel baratro, prima che voi possiate intervenire per combatterlo.” L’accusa di Lorenzo fece eco al vuoto d’ogni cuore e strapiombo. Anche il vento smise d’ululare. La scena d’una guerriglia urbana lì palesata dinanzi alle fondamenta del tempio.
“Chi sei tu che gridi verità?” Tuonò dalle scalinate una voce nuova, graziosa, femminile, ma grande nelle stesure. Di quella appartenente ad una narratrice d’antico, sovrana della storia.
“La madre.”
Intonarono odi inginocchiandosi a lei.
Ecco lei in tutta la grandezza sua, un angelo, un’arpia, la chioma bicolore, le ciocche in contrasto tra lo scuro del tormento e il chiaro d’una luce predisposta all’irradiare il domani tutto. La pelle pallida e cadaverica quasi non veniva intesa, capita, delineata a causa del bagliore che il suo vestito, anch’esso dalla bianca seta, copriva ed accentuava però le forme, le curve armoniose, ossessionate di sostanza e morte.
“Tu!” Ella indicò Lorenzo con le mani vellutate che terminavano in unghie tinte d’un nero accesso. Il vestito di nozze lasciava scoperte le spalle strette, sembranti temprate dal diamante, recanti la gloria dell’universo tutto. Le pupille tanto sbiadite facevano sfondo alle sue spettrali ambizioni, ampi a far capire di non essere dinanzi ad un’umana donna, intesa al modo del reale terriero. C’erano gli astri nel ventre, c’erano galassie nei lineamenti, sconosciute ere, in lei tutto il riflesso dei segreti d’uomo, dell’esordio. Era parte della creazione e di lei si rallegrava.
Lorenzo non si pose al suolo, ma il fiato gli venne a mancare.
“Hai seminato terrore tra le file dei miei fedeli.” Lo accusò.
Lorenzo tentò di ravvedersi, si strinse a tutta la forza da lui posseduta.
“Il fulcro del massacro. La potenza a cui tutti ambiscono.” Disse soltanto.
“Ebbene, sì. Gli uomini tutti hanno voglia di ricchezza, io sono il tramite.” Rispose la madre che discese a passo lento gli scalini del tempio riversandosi in mezzo ai monaci. S’addensava il solenne della scena sanguinaria.
“Che prezzo vien pattuito per averti?” Chiese il ragazzo.
La madre sembrò offesa dal quesito, ma si ricompose al modo degli dei incapaci d’aver rancore contro l’umana debolezza.
“Il sociale è il mio prezzo, ragazzo.”
“Il confronto barbaro.”
“Esatto, scavalcare corpi morti per raggiungere la vetta.”
“Il potere, gloria degli ultimi.”
“Non vorresti tu essere potente, ragazzo mio?”
“Sì. Sono venuto a cercarla per questo.”
Molti monaci si scossero.
“No, madre. Scegli me, benedici la mia fede!” Disse uno.
“La mia famiglia sia scelta!” Si sollevò un addensato di grida, voci martoriate delle pene subite ed ossequi, lamenti, ingiurie.
“Silenzio!”
La madre sedò la ribellione come aveva fatto essa con i profeti ai tempi di Mayda.
“Il ragazzo è crudele più d’altri. È stanco di fatica improduttiva e di perdono non concesso.”
“Non ho scelto io di venire al mondo in disgrazia.” Disse Lorenzo.
“E cerchi mezzo per elevarti.”
“Sei disposto a tutto?”
“Ho ucciso per te, madre.”
“Ho veduto. La disperazione porta a compiere estremi gesti.”
“No!” Interruppe il silenzio un monaco.
La madre adirata gli estirpò il cuore dal petto con una sola spinta per poi maciullare l’organo stringendolo fino ad implodere nella sua stessa mano. Tutti ebbero orrore. La vittima crollò. La madre fu parabola del sociale.
“Ecco cosa sacrifichi per ricchezza, figlio mio. Smarrirai la tua stessa umanità. Ha senso per te aver gloria, calpestando ogni valore a te annesso, brutalizzando chi di te ha avuto premure? I tuoi stessi compagni, la tua casa, le tue pulsazioni in rovina di tua scelta. Rinunci a te stesso legandoti a me. Io sono prosperità.”
“Perverso e feroce, trionfa chi crudele, chi s’impone, mai il raziocinio ancor non basta a sopprimere natura, violenza e voglia di gioia.”
“Ma è mai gioia questa?” Urlò Alessandro, riacquisendo la ragione.
“Conosci altro, tu?” Gli domandò Lorenzo.
La madre rinunciò alle sue pretese d’uccidere chi interrompeva il silenzio da lei imposto.
“Che senso allora ha esistere se solo devo cospargere morte? Che senso ha vivere se non ho modo d’assecondare le mie voglie pure in difesa della libertà d’un prossimo cordiale, fraterno?”
Pietro si liberò dalla presa dei monaci.
“Sì, voglio essere schiavo, allora. Povero d’anima, ma libero.” Aggiunse lui al discorso di Alessandro.
“Non sarai libero, ma soggetto a chi si sacrificare alla vemenza, di chi distrugge e dissemina odio.”
“Allor che così sia.”
Il ragazzo definì il suo avvenire.
La madre fece per star dinanzi a lui che di fede in massacro ne aveva in prosa.
“Uccidi il debole, il fragile.” Gli diede un coltello comparendo d’improvviso alle spalle di Alessandro che spinto dall’esterno ricadde dinanzi all’amico. Lorenzo afferrò saldamente il manico dell’arma.
“Cosa? No, Lorenzo. Non farlo, ti prego!”
Non era bastato rimanere in disparte, con voglia solo di pace promiscua, senza soccombere alla volgarità d’un presente malandato. La lotta di classe era comunque giunta al suo cospetto, lì disposto ad atroci sevizie. Lorenzo guardava il compagno inginocchiato e le sue lacrime invadenti che martoriavano l’afflizione del viso scarno. Sollevò la lama, incombendo sul viso del bambino in rischiaro di sola voglia di giacer tranquillo, di non stare a chiedere potere, solo quiete.
“Uccidilo ed io m’unirò alla tua stirpe, ragazzo. Avrai la gloria.” Disse lei.
La madre, godendo nell’insieme, tratteneva le spalle del giovane, incapace di fuggir delle grinfie dell’umano dire che non ha fede se non in guadagno. Lorenzo, comunque, si mosse. Al cielo ingrato, mostrava esso però afflizione, in concorde con la crudeltà che sembrava in suo viso però forzata ad esistere. La notte era d’implacabili ostilità a scatenarsi tra uomini di poco amore in riguardo di sé stessi.
“Soccomba l’essere con voglie distanti dall’omologazione del nostro. Non verrà lui accolto, ascoltato. Soccomba l’essere che in analisi del reale questo lo ripudia, tentando di mutarlo in meglio. Sono io forzato all’aborto, trucidando i miei simili per finita ricchezza.” Compì egli orazione alla distruzione di sé.
Ed era tale il rimorso suo, d’un semplice, un ultimo, che però vede nel solo molestare il fine del guadagno, del divenire giusti adottando sol disprezzo. Lorenzo era questo, miserabile nell’avvento, ascendeva al potere. Donatagli fu una scelta sola, se vincere o esser vinto, carnefice o vittima.
“Mors tua vita mea. Decedi tu per darmi forza.”
Lorenzo, abbagliato dal richiamo alla gloria, levò l’arma contro il compagno trafiggendolo al petto.
Si compì la storia, di conquistatori arditi che disegnano il nuovo, a discapito di chi s’avvede d’intelletto e fragilità. Caino dei vivi, vendetta sui deboli, costretto a dirsi brutale per aver diritto, per essere, finalmente, degno di star vivendo. Ancora sangue. Sopra corpi morti s’edifica la ricchezza.

Alfred Kubin,Austrian printmaker, illustrator, and occasional writer. Kubin is considered an important representative of Symbolism and Expressionism

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