In completa insensatezza ritrovo l’esistere.
Non per modo ho malessere nel ritrovo d’una qualità eccelsa in visione d’un classicismo obbligato, eppur che credo d’essere io parte del prodotto, al quale, però, non m’assimilo. Sono io cliente, in rispecchio della classe alternante a merce fatta per acquietare necessità di chi s’addolora di niente. Tal però ostilità non è placata dall’acquisto, egli solo rivolta il vedere, l’analisi, ad altro, distraendo e conducendo ingegno in disattenzione, a non più consapevolezza di sé, focalizzando sostanza all’inutilità materiale, associata alla brulla terra spoglia d’incerto. Questa condizione dell’uomo incredulo, minaccia la sua melèda, la calca di pensieri assidui che van sedati dal mercato. Ecco come fu genesi della critica. La merce va distraendo fondando nuovi bisogni d’acquisto in pochi istanti da neanche accorgersi di star desiderando banalità. Quando la melèda vien meno l’uomo guarisce dalle sue emicranie, ma è momentaneo sostegno, un veleno che infierisce sul corpo rendendolo succube del consumo, deviando il corso di psicotica crescita dal proprio immane vuoto d’esistere, pensando di far parte della natura in impiego, ma l’individuo non è prodotto, è tassato ad esserlo al momento in cui entra in contatto col proprio dolore. Un ostacolo immane da dover sovrastare, da dover fronteggiare, troppo da sostener per fragilità d’intelletto che va molestandosi al vetro. In termini di semplicità d’opinione evidenzio l’oggi d’un niente, il mercato saturo d’idee. L’abbassamento del valore ha proprie radici esposte in memore a chi va a riferirsi, catene d’uomini in malanno, sedati, indottrinati al credere d’ascendere all’aristocrazia che si fa loro invidia. Accecati dal dissenso di sé, non s’hanno motivi per rendersi consapevoli del fatto che il social sempre più distante ci protrae dal vertice. Mutare vita in molestia è crederla inerente alla comune ascesa, che è inventiva di simili al modo di plasmare natura in somiglianza d’una visione personale di fede. Adoperare la propria melèda, ad elevarsi al culto solo di sé stessi, è complicato, se paragonata alla rapidità del confort. Ecco che proprio il bisogno incessante di semplificare l’esteso ha dato a uomini che non vedono la parola di dirsi illuminati, a leader di corruzione l’egoismo di dirsi giusti, non analizzando, da sé, memorie di ciò che è visto, di ciò che s’è dato in risposta al dolore tipico del proprio credere.
Stiamo vigilando su questa massa, ad assumere ribrezzo del proprio essere, a parlare indegna, macchiarsi d’egoismo per celare malessere d’incompreso, ed io sono d’essa parte. Al contempo, la non necessarietà di nozioni ha sensibilmente messo prova d’una richiesta di più leggero valore in rispetto al secolo addietro. Tal modo di misurar l’inventiva dà prova d’accontentarsi anche del semplice riflettere. Ad ora che anche di musica s’adorna la disattenzione di chi giace in condizione di non ascolto; oppure, anche a preservar quel poco della concentrazione residua, l’adopera per contentezza della poca qualità del consumo.
Come ci si è ritrovati allora dinanzi ad un mercato di tal bassezza?
In poco all’aumento del produrre, incondizionatamente, corrisponde, costretto, un calo della qualità voluta. Più modalità di soddisfare gli innumerevoli bisogni, concreti, d’un essere a trascurare il riflettere, bisogno impellente del rimanere al mondo. Si comprende bene che se tal è la folla di disattenzioni a richiedere mercato, essi, i singoli, col tempo, si son abituati ad un sempre meno possibilità di dirsi apprezzati. Il mercato stesso non ama i suoi compratori. In quanto individui, né sentenzia le facoltà, inebetendone le conoscenze, tramutandoli indisponenti. Credendo d’essere molto, si è disposti a consumar il poco valore della, adesso, tanta diversificata merce.
Cosicché la distribuzione si fa nefasta. Incontrollata giunge alla soglia d’ogni essere che lo accoglie con non parsimonia, senza curarsi d’analizzare necessità di compera, senza valutare dubbiamente la qualità dell’assumere sostanza. Io so, per certo, che tal voglio esser più di ciò che m’assimila il domani, già plasmato in opera d’una morale che, riflettici, è solo plastica.
Essere presi in giro dalla bassa qualità del presente è triste.
La perdita del valore ha riscontri in ogni settore d’arte, che ora si fa status, sfarzo di beni e non d’ideali. Questo riduce martiri, eroi, non trasmette virtù, ma bisogni distanti dal reale.
Scevri da idee s’è costretti all’obbligo d’ambire a ciò che dall’alto si mostra a noi.
Il vertice, la prosperità, è posta sopra tutti gli uomini, i quali distolgono lo sguardo dalla terra per rivolgersi al cielo. Pochi ne raggiungono la beltà, ma a tutti gli altri non è fornito, certo, mezzo per ascendere, al che rimangono a sognare l’astratto, deridendo il concreto dell’umile.
La terra del presente brulica di malanni non visti, tant’è che anche il valore della scienza sta redistribuendosi in nome della spesa, non del progresso. Poco importa se basta questo, soddisfacimento materiale, a rendere ben posti i molti, che non odono lamenti di chi cade inadatto. Il reale fa sì che tutti proprio siano inefficaci al governo, li fai suoi, adulandoli, rendendo speciale chi consuma e ne abusa ed inutile spirito chi si tiene a distanza dal capitale. Or che la musica ha perduto voglia di raccontare il presente, grigio e smorto, tema inadatto all’attrarre attenzioni. Ora il pensiero si rivolge alla ricchezza di materia perché è l’epoca del vetro di schermi in riflesso a sostare in coscienze, porle al livello basso del loro consumo e unico dilemma è il sanguinario trascendere dal povero della terra.
La quiete è dei deboli, l’abuso di costanza, di sforzo, d’abitudine al lavoro obbligato, è per i sani d’un futuro ad affacciarsi all’indegnità del prodotto.
Ora che nel racconto ogni singolo dettaglio è scardinato, esplicito, parla in censura, rivolgendosi ad un pubblico di pregiudizi inculcati a forza, disattendo, rapido, che il mercato crede inadatto nell’assimilare i concetti proposti, allorché espone apertamente l’irrispettosità sentita per chi guarda. Il vertice contempla dall’alto del suo esistere, al di sopra, l’irraggiungibile del bello proposto ai rozzi, ma io credo nell’essere individuo. Ho voglia d’ancora avere speranza nella morale della massa, nell’etica mia, so che s’è migliori di questo. Ora che l’arte accontenta l’esteso, insomma, del nulla che richiede. Ora che l’estetica s’è ridotta a canoni designati, superati sol quando s’è tenuti ad apparire in tolleranza, illudendo di credere in giuste lealtà, mentre alla vendita si manifestano i bei corpi ed il cattivo regime. Ora la moda è tanto veloce da neanche più aver maniera d’esser consapevole del perché la fama persevera in inutilità. La melèda è annullata in uomini d’agitazione, del produrre incessante, del mestiere, a forza, portato avanti, perché essi non sono tenuti ad esser pienamente comprensivi dei loro limiti. Tali essendo designati posson divenir giusti, ma è davvero tanto eccelso l’essere che non si conosce nel suo intimo? Ora proprio quei confini d’intelletto si sono fatti più deleteri, invalicabili. S’è tramutato in indispensabile ambire alla grandezza cosicché, paradossalmente, si rimane quieti nella pochezza, sperando e mai lamentandosi. Un individuo a non saper della sua indole, a non saper dei suoi piaceri, idee e perversioni, resta anima malleabile, eccitabile ad ogni singolo tema ad ogni singola errata proposta. Acquista senza chieder motivo. È non indispensabile programmare, informarsi. Discutere è molestia. La competizione è avviata contro ignoti, eludendo le diverse unicità d’ogni essere e d’ogni nascita, ogni insicurezza illusa dalla ben amabilità del sistema. Questo stermina voglia d’essere coerenti, vividi, lucidi nel ridisegno, quanto ancora con più articoli di bassa qualità s’è in grado di concepire più guadagno d’uno solo reso ad arte. Che ora proprio l’arte non crede al mondo incerto, non vuol discutere, aizzare politica, aizzare critica, non condanna, non supporta il giudizio proprio contro i forti. Il giusto, quello vero, è troppo per il neutro. Il consumo è affidato alla semplicità dell’ego, dei costumi, d’ansia resa unicità. Troppo è pensare, ascoltare, cercar d’esserci e valutare. Il tempo è irrisorio, poco per esser adoperato per l’onesto del respiro.
Non credo però, che in decenni addietro, si sia mai stati esenti dal basso valore del riflettere, ciò è da sempre esistito in astio dell’individuo. La pochezza è necessaria per apprezzare la gloria dei lavori, al motivo di rendere sopportabile un’esistenza resa malevole se scevra da opinioni, grazie proprio al basso. L’alto spicca e supera con lode la prova del tempo e tal che succederà anche al mio presente, dove il maturo della molestia è inascoltato in favore dell’inadeguatezza che svetta sui grandi numeri, ma di poca durevolezza. Ciò sarà per sempre, ma dico che ad oggi l’apprezzamento del basso è tinto d’ipocrisia, lo illude d’essere etica, questo rende difficile l’ascesa di spiriti geniali. Io li ricerco tra la folla dei detriti della gloria che fu, ma non li ritrovo. Il social produttivo sta obbligandomi ad apprezzare la bassa fattura, non proponendo altro, o facendo rimaner nascosto chi lo fa. Non lo sopporto e non lo comprendo. Son isolato dal resto, nell’apprezzamento d’ingiurie che odo e tali mi rimangono alla coscienza, portato a mutare le opinioni in isperanza dell’univoco consenso. Proprio il nuovo, il progresso, dei bisogni concreti e più sentiti, è plasmato dall’incompreso, dal troppo, dal barocco dello sperimentar violenza, dall’alto valore della follia, in uscita da schemi imposti, non al comando di gerarchie del mercato, solo inventiva d’uomo al modo di distrarlo dal vero, che è brutale, molesto. La gloria è eterna, non può esser martire del basso, però dico che l’individuo ha l’obbligo di preservare il riflettere per sua prosperità. Non può, autonomo, morir per sua mano, rendersi disattento dinanzi alla condanna dell’abuso del poco. Il mercato deve coltivare rispetto in risposta a chi lo alimenta.
Serve inversione del pensiero d’acquisto, nuova anarchia di domanda, nuova consapevolezza del bisogno, se non si vuole un domani di fragili ingegni morti prima ancor di intraprender prosperità.
Il basso non va escluso, ma tal non alimentato incontrollato per sola vendita.
L’essere umano deve aver modo di scegliere se comprendere il complicato del vero, sforzandosi e dando tempo d’ascendere alla sapienza o d’essere in cerca dell’illuso della falsa gioia e svagarsi del nulla.
Entrambe le parti sono arte, ma la seconda oggi è tal resistente che abissa l’alto disegno, facendosi beffe di chi, come me, è rapido consumatore, d’intelletto esile.
Voglio che mi sia proposta conoscenza, datemi modo di coltivar mia unicità.
Oggi il basso del valore d’arte deride l’uomo che ne abusa.