Alla caduta di Mara, ultimo fiore d’un moto di protesta legato alla voce stroncata di giovani generazioni.
Margherita fu voce delle Br, il rosso gruppo terroristico operante durante gli anni di piombo italiani, in decisione d’abbandonar il sistema neutro della media borghesia, per correre al supporto del proprio credere. Armarsi al preservo d’una idea utopica, di cieca fede al diritto di manifestare.
I successi dell’oppressione che sol fomenta nuova violenza. Le brigate non nascono dal niente, ma forse da quel continuo malcontento che vede i ragazzi complici d’una decadenza etica, ideologica, caratteristica pressante della penisola ancor presente in plurime amministrazioni di vecchia genesi che etichettano in condanna le azioni d’un gruppo, nei primi anni, armatosi per tutela.
Giovani con nel corpo la voglia di rivolta, al prosieguo del degrado degli istinti, essa solo porta alla distruzione d’innocenti, come proprio accadrà al tempo e come accade ancor al presente. Le Brigate rosse si manifestano dai primi movimenti studenteschi, lo Stato sottovaluta la loro ascesa, dichiarando le azioni prime come solo frutto d’una volgarità giovanile insulsa, frivola. Il manifesto d’un paese che cade preda d’una mentalità in difesa del privilegio d’individuo, d’origini giuste, la sinistra extraparlamentare brutalizzante la trasandatezza del sistema e ritraente morte.

Oggi è caduta combattendo Margherita Cagol – Mara – dirigente comunista e membro del Comitato esecutivo delle Brigate Rosse
Cosa nasce dalle barbarie?
Un’immagine imposta è sol cieca, non penetra in ideali collettivi, accettandone le prediche e obbligata al terrore.
C’è senso in una tale molestia?
V’è pur l’antietica d’un parlamento che agli attentati risponde brutale, e dall’altra c’è l’ardore dei nuovi individui, arrabbiati perché al margine d’un sociale, voluto dai lor padri e col diritto di, quantomeno, dir la propria.
La verità è che oppresse le masse non han niente più da perdere, la brutalità dei corpi in difesa dello Stato andrà a fomentare quelli del terrorismo rosso. Non è dato saper da dove gli scontri a fuoco ebbero inizio, ma di certo il tutto è frutto d’un immaginario che condanna a priori i nemici d’un sistema inadatto, almen in quel periodo, a fronteggiar l’avanzata del malessere.
Possibile che si debba arrivar a tanto?
L’opposizione resa muta con forza sfocia nel dannato.
L’avverso è risorsa primaria, tal qual alla giovinezza dei martiri.
Allor Mara s’è macchiata d’uccisioni?
Che la rivolta condotta d’armate porta ad altre dello stesso stampo, a quel punto vince l’esercito più numeroso ed addestrato non di certo la concorde ideologia.
Guarda Mara, colei distaccata dall’amare l’illuso del neutro, non a lei calzante, armata d’ardore, finirà cadavere così presto. Morire per idee è tal illogicità, lo era prima, lo è ora, sol che durante il piombo mancava l’ascolto, la clemenza del credere nella luce dell’adolescenza, ora ciò che manca è crederci, che la fede è sol volta alla facciata.
Ora, Mara, la lotta armata porta, inevitabilmente, alla morte, la lotta d’idee porta al meglio compromesso. Guarda, la ricchezza d’immaginar ancora un reale di luce è valore aggiunto, ma gli assedi son d’oltremondo, nasce l’idolatria, le parti, tifoserie dell’inganno, abbagliate, cieche, accalcano tutto in un’unica solfa.
Una generazione è morta quando smette d’inseguire il lusso di credere ancora in un’etica morale.
I ragazzi giacciono ancor inascoltati.
Armarsi non di piombo, ma d’opinioni contrarie al canonico, è forma di concreta sommossa. Il nuovo giudizio sorto dall’eccesso, dall’esuberanza dell’innovazione.
Non opprimer la massa, questa risponde, basta sangue.
La difesa dei principi però va degradandosi negli anni, alla ricerca strenua d’una demagogia che poco calzava al volere di chi si rese movimento di sinistra almeno nei primi anni della corrente ideologica che in violenza insensata, per la maggior parte, avanzò pretese contro uno Stato in caos perenne, assoggegato dalle armate vincitrici. Nasceva capitalismo. Ai tempi di Mara stavamo noi divenendo unico frammento, abitanti d’un mondo che però rimane coordinato al celato delle potenze. Ai settanta era sistema incapace di dar contento alle masse operaie, alle ribellioni del basso ceto, sedimentate ad una povertà quasi incontestabile, dove, in poco, gli scontri dei dibattiti andranno ad alimentare la lotta armata, che quasi nasce dalla polvere dell’umile della massa, ma cosa legò le brigate alla fabbrica? C’è chi dice che Mara non ideò il movimento alla base della nascente moderna industria, eppur si poneva anche in lor tutela. Dall’altro canto della parte d’idea poco importava, bastavan a loro solo un’esistenza spesa da uomini. Le brigate Rosse allora ebbero ufficialmente natali dalle idee di lei e dall’amato Renato Curcio. Tra le colonne, così andavano a definirsi i vari gruppi distribuiti tra le città d’Italia, maggiormente nel settentrione, fu “la compagna Mara”, resasi martire, brutalizzata dalla degenerazione. Partecipò ai primi casi di rapimento delle Brigate, le prime auto in fiamme dei grandi industriali che in quegli anni cominciarono la loro ascesa incontrollata ai vertici delle gerarchie. Uno dei rapimenti più eclatanti fu quello del giudice Mario Sossi, proposto all’accusa del gruppo del 22 ottobre, una gilda extraparlamentare colpevole di sequestri al fine d’autofinanziamento del gruppo. Sossi fu liberato dopo oltre un mese di prigionia perché furono concessi agli accusati la libertà provvisoria dalla corte d’assise d’appello di Genova, anche se poi veniron meno le indicazioni delle Br, che videro gli otto imputati non esser tutelati con la firma dell’ordinanza di scarcerazione. Mara verrà uccisa in uno scontro armato il 5 giugno del 1975, sulle colline di Arzello dove le Brigate avevan sequestrato l’industriale Vittorio Vallarino Gancia. Si scopre per caso il nascondiglio di lei quando i carabinieri sono in perlustrazione in quelle zone, giungendo alla cascina sede del sequestro,ne segue la colluttazione a fuoco. Il sergente Umberto Rocca per l’imboscata della Cagol e dei suoi compagni perde un braccio ed un occhio. Giovanni D’alfonso, carabiniere, muore nella mischia, Mara crolla a terra per i colpi subito al corpo, il suo complice riesce a fuggire. Non si saprò mai se Mara fosse ancor viva quando s’arrese, le Brigate diranno che i carabinieri uccisero a freddo la ribelle disarmata, il fuggitivo udì un secondo sparo quando già fu distante, le prove furono poche per sostener la tesi.
“Come un mostro feroce che divora tutto ciò che di naturale, di umano e di essenziale c’è nella vita. Questa società […] ha estremo bisogno di essere trasformata da un profondo processo rivoluzionario. Tutto ciò che è possibile fare per combattere questo sistema è dovere farlo, questo io credo sia il senso della nostra vita.”

Margherita, moglie, di buona famiglia, terrorista per amore. Ecco per cosa combatté, riconoscenza al merito scevro da pregiudizi. Le sue gesta volte a scandalo. Non di certo è volere della storia frammentare la sua figura e distorcerla a tal punto da veder una creatura delusa del sistema come vittima del cieco sentimento. Margherita fece ciò per suo unico volere, almen questo che le sia accordato. Ogni singolo scontro e ogni abuso fatto in nome d’un qualcosa di grande, imporsi tra le sfaccettature del marcio d’un reale che non le dava giustizia come individuo.
La sua è una storia di rivoluzione e come tale va raccontata.
Mara è in qualsiasi anima pronta a far valere le proprie convinzioni, pur errate, sentendo giudizi contrastanti, in lotta per giunger al vertice ed aver parola. Armatasi per difesa, forse, o per offesa. Chiunque, in nome d’un tale vuoto, avrebbe cercato d’estender la propria esistenza sorretta dalla fede di vedere la luce delle proprie ambizioni. Ideate le Br per ascolto, poteva mai vedersi opposizione in quei primi atti? Poi le continue sevizie han certo portato al comando il non equo giudizio.
Non v’è mai giustizia nella brutale aggressione.

Mara, affiliata alla colonna torinese
Il sangue chiama sempre altro sangue.
Tacer morendo e dialogar come minaccia. Morte disseminata giace sopra cumuli d’altro prossimo dolore, sol a ciò può, inevitabilmente, portare affranto. La resistenza del 45’ s’avvaleva dell’artiglieria per scacciare il male fascista, ma il nuovo stato costituzionale s’erse in pace, certo in scontro di diverse visioni mariti, ma pur sempre collaborative nel supporto comune alla terra or volente nuova amministrazione e prudenza. Il massacro delle guerre ridisegnò il mondo intero e l’idea che si ebbe fu d’una ricostruzione in necessità. Nessuna idea certa persevera nel buio dell’oppressione, il conflitto mondiale lo ha dimostrato. Imposti i canoni e spinto il popolo all’estremo della fine, trucidato nelle convinzioni, esso ha voglia solo d’insorgere, calpestando anche passate convinzione. Insomma, tanto che il dialogo vien a mancare, arriva veemente, l’artrosi del buio, ma l’idea è clemenza, razionale azione. In rispetto dell’opposto s’erge il grande della propria visione. Infatti, nell’analisi propedeutica di quegli anni, certo va notandosi un punto di rottura nelle Br, degenerazione che forse sfocia con l’assassinio di Moro del 78’, Margherita è già morta da tempo.
I PRIMI ANNI(1945-1969)
Margherita nasce a Trento l’8 aprile 1945, la sua famiglia è di fede cattolica, punto saldo perenne nella sua breve vita. Sani principi inerenti alla decenza della massa, pratica sport, la sua fede la rimanda al sostengo d’anziani e alla messa domenicana. Il padre gestisce la “casa del sapone” a Trento, la madre è farmacista. Margherita è l’ultima di tre figlie. Cresce allor in neutro delle aspettative, rimarcando una vita al medio delle possibilità, distante dai canoni aristocratici e governativi della prima Repubblica, or tirata a nuovo dopo vent’anni dalla fine della guerra, o almeno così si credeva, in realtà la situazione era ben diversa. Si diplomerà all’istituto di ragioneria, suona la chitarra da molti anni, ma lascia in nome della vocazione politica. Gli anni universitari van volgendo a quella che è la facoltà di sociologia di Trento, dal cui ambiente si formeranno importanti voci delle prossime Brigate Rosse, tra quei banchi c’è anche Renato Curcio, tra i professori figurano personalità del calibro di Romano Prodi. Trento in quegli anni è un fervore di movimento e gruppi, le idee maturano, accompagnano i ragazzi durante i loro periodo di studi e crescita. Tali pensieri si radicalizzano in intelletti smossi dal grigio. I ragazzi, presto, s’accorgono che volgendo pacifici non han modo di parlare a tutti, neanche d’arrivar alle coscienze di ristrette nicchie. Son, per la maggior, figli di cattolici, operai delle nuove fabbriche, vengono dall’imparziale d’un sociale che non li accoglie. Nascono i dissensi ai vecchi partiti, administratores di linee politiche ormai datate, inadatte alla nuova Europa e al controllo imperialistico della vergine egemonia statunitense. Il PCI tradisce, forse, un’idea di sinistra impressa nell’immaginario marxiano-leninista più estremizzato, ma tal ci si ritrova agli albori degli anni Settanta, siam qui prima del piombo, le cose son mutate, son gli anni della rivolta cubana, Fidel Castro ha il potere a Cuba dal 1959. La penisola sembra risentir ideologicamente della vecchia occupazione americana, le truppe son scomparse, di meno, ma resta l’immagine, come d’uno spettro capitalista che sente il rimarco d’un mutamento radicale avvertito negli uomini, di chi vive a stretto contatto con la politica dei dissensi, delle nuove fabbriche, dei sindacati. Sembra nascere una fissazione in una destra che vien a ricalcare vecchie glorie del fascismo. Le fabbriche crescono, i prodotti stranieri, soprattutto statunitensi, imperversano nel territorio e fann prosperare le nuove multinazionali. A tal proposito, le Br proprio si fonderanno sull’idea di liberazione dai liberatori. La politica risente delle nuove condizioni, la sinistra della sociologia di Trento vede il male del mercato aggressivo che va formandosi implacabile nell’ascesa. Margherita è lì, inebriata dall’idea di rivoluzione. La valuta straniera che sopprime ora un’identità che va fievole a decimarsi, a lor dire. Nel 1966 si verificano le prime occupazione universitarie da parte del gruppo della Cagol, è la prima volta in Italia. Il Giornale “Lavoro Politico” a cui Margherita collabora diverrà importante riferimento nell’immaginario di sinistra. Per la tesi di laurea proporrà un’analisi del momento economico, lavorativo e politico del tempo, dal titolo Qualificazione della forza lavoro nelle fasi dello sviluppo capitalistico. È il 29 luglio 1969, dalle testimonianze s’evince che Margherita conclusasi la discussione saluta la commissione col pugno chiuso. La tesi fu proposta al nuovo rettore Francesco Alberoni, il voto fu di 110 e lode. Uno spirito in fiamme arde del nuovo ascolto, arde del vero, è giusto, va contro, pensa, immagina, desidera, come può cosparger dolore una così tenue creatura, con tanta dell’ambizione, cresciuta a motivi cattolici, fedele agli amici e alla famiglia?
UNA NUOVA LEADER, l’Italia dopo la Strage di Piazza Fontana(1969-1974)
Margherita sposa Renato ad agosto, in chiesa. L’unione mina i rapporti con la famiglia a cui la ragazza non vuole rinunciare. Sono gli anni dedicati allo studio della nuova situazione lavorativa italiana. Le fabbriche son sempre più luogo di scontri, i lavoratori chiedono paghe adeguate, scade il contratto nazionale dei metalmeccanici, le proteste son continue, a volte anche violente. Il 12 dicembre 1969 accade l’impensabile. La strage di Piazza Fontana uccide 17 persone, 90 sono i feriti, è l’episodio più controverso del periodo. I colpevoli son impuniti, girano arresti, lo Stato si sente minacciato, cerca i colpevoli nel cieco delle azioni militari. Al tempo il Parlamento mai ha temuto un colpo di stato, ma un radical cambiamento dell’ordine amministrativo certo, che avrebbe per sempre trasformato l’ordine naturale delle cose, il rapporto con gli USA e i paesi vincitori soprattutto, ma il futuro si muove rapido, lo Stato ebbe timore di non poterlo inglobar a dovere, comprenderlo nelle più profonde delle sfaccettature. Nasce il CPM(Collettivo Politico Metropolitano) da cui snodi si ebbero le prime Brigate Rosse, entrambi furon gruppi di sinistra-extraparlamentare, stanchi d’essere rappresentati da una sinistra al governo che non rispecchiava l’idea di fondo del nascente comunismo italiano, sempre se d’esso si può parlare, mai concretizzandosi a pieno. Alberto Franceschini ne organizza il primo incontro:
“L’impressione che ne ebbi fu di grande fiducia. Mara, che pur non appariva e non ci teneva a farlo, non era considerata da nessuno una figura secondaria. Anzi, era poi fondamentale nelle scelte concrete. Così la vedevo io, così la vedevano tutti”.
Curcio, arrestato, dirà che Margherita voleva le brigate quanto lui, se non ancor di più. Allor ecco che ella diviene Mara, suo nome di battaglia rossa. Iniziano le prime rappresaglie, c’è bisogno di denaro per il cambiamento, tanto denaro. Mara, nel frattempo, rimane incinta di Curcio, ma perde il bambino. I due ora vivono in clandestinità. Nell’occupazione delle case popolari di Quarto Oggiaro, viene arrestata per la prima e l’ultima volta, sconta cinque giorni a San vittore.

(Foto sul documento d’identità falso di Margherita Cagol, si fa chiamare in clandestinità “Vera Perini”)
Le brigate si armano con le pistole donate dai vecchi partigiani, delusi dalle iniziative del PCI. La sua famiglia è sempre presente, Mara scriverà lunghe lettere alla sorella, non perdendo mai di vista le persone che tanto le avevan dato modo d’esserci. Or sentiva che doveva far di più, in nome di quel che era, giovane inadatta, destinata ad una vita del neutro, già segnata, vinta dal pregiudizio d’un presente che la voleva sposa d’un giusto, in casa a far faccende, scelse la morte.
“ Tutto ciò che è possibile fare per combattere questo sistema è dovere farlo, perché questo io credo sia il senso profondo della nostra vita. Non sono cose troppo grosse, sai mamma. Sono piuttosto cose serie e difficili che tuttavia vale la pena di fare. […] La vita è una cosa troppo importante per spenderla male o buttarla via in inutili chiacchiere o battibecchi.” .
Mara
In quanti si sentirebbero di darle torto?
L’esistenza è tanto brutale, ma renderla migliore opprimendo gli oppressori rende schiavi del sistema nemico. Si punta al cuore dello stato, è il 1974, gli anni del rapimento del giudice Mario Sossi. Dopo la liberazione dell’ostaggio, Renato Curcio e Alberto Franceschini vengono arrestati a Pinerolo(TO), denunciati da un infiltrato. La colonna Torinese è compromessa, altri brigatisti vengono arrestati, Mara rimane la sola al comando della Gilda, alimenta la voglia dei compagni rimasti di tentar l’assalto alle prigioni. L’impresa riesce, l’amato Curcio è liberato dal carcere di Casale il 18 febbraio 1975.
“Un’umiliazione dello stato”
(Scriverà il Corriere della Sera sull’evasione.)
La Colonna torna salda, ma ora il denaro scarseggia, c’è bisogno di finanziamenti. Si decide per un rapimento, la vittima è Vittorio Vallarino Gancia, industriale dello spumante. È un gesto d’estrema necessità. Gancia è importante rappresentante del capitalismo italiano, la predica delle Br si convalida alla distruzione del Sim(Sistema Imperialistico delle Multinazionali) proposto nella cosiddetta “Risoluzione della Direzione Strategica” documento divulgato dal gruppo armato ad Aprile del 1975, forse in giustificazione del prossimo atto. Colpire un industriale avrebbe forse estirpato le lor colpe, stavan comunque facendo sopruso al nemico, forse s’erano ripromessi di non ferire nessuno, e di non tirar dentro nella faccenda degli innocenti. È Mara, comunque, la prima a fomentare l’impresa. Le Br erano militanti inesperti a quel tempo, incapaci, compromettono l’operazione già dagli inizi, scegliendo la cascina Spiotta d’Arzello sulle colline del Monferrato come luogo di detenzione. Il luogo era già noto agli abitanti e alle forze dell’ordine come sede dei terroristi, un eventuale movimento sospetto avrebbe certamente messo in allarme la comunità. Gancia è tamponato sulla strada, minacciato e trascinato alla cascina secondo i piani. Rimasero a guardia del sequestrato Mara e solo un altro brigatista. Ancor prima del rapimento un membro del gruppo, Massimo Maraschi, 22 anni, si ritrova coinvolto in un banale incidente a due passi dalla cascina. È sotto falsa identità, i suoi comportamenti son sospetti, è subito portato in caserma e svelato come membro dei comunisti rossi, giovane ed inesperto. Le Brigate Rosse son sul territorio, la domanda di riscatto per Gancia è giunto ai famigliari, s’arriva già alla conclusione che il luogo del sequestro non può essere lontano.
LA BATTAGLIA DI ARZELLO(5 giugno 1975)
I carabinieri dopo poche ricerche e posti di blocco distribuiti a macchia incerta, ma pur sempre rifacendosi all’incidente di Maraschi, arrivano alla cascina. Ci sono solo Mara e un altro membro.
Ne nasce un violento scontro a fuoco.
Le versioni delle due parti son discordi, frammentate. Dei carabinieri muore Giovanni D’Alfonso, il maresciallo Rosario Cattafi e il tenente Umberto Rocca rimangono feriti. La prima versione delle forze dell’ordine, è che Mara avesse ucciso il primo, quando l’uomo era già in terra e ferito. Dall’autopsia emerse che Margherita non aveva mai sparato. V’era anche una valigia appartenuta a lei, questa scomparve dalla scena, come scomparvero alcuni giornali che sicuramente i due avevan portato nella cascina per veder l’esito della trattativa del sequestro.
Fatto sta che Margherita è uccisa nello scontro.
Renato Curcio, mesi dopo, verrà arrestato assieme ad altri brigatisti. Forse c’era anche lui durante lo scontro, accostato sulle colline, racconterà la sua versione. Ancor oggi tanti misteri non svelati son legati alla battaglia di Arzello.
Renato Curcio verrà condannato a trent’anni per associazione sovversiva, banda armata e come mandante dell’omicidio di Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci. A Mara e Renato, come almeno alla prima parte delle Br, non è imputato nessuna uccisione diretta, fatto sta che tal aggressività delle scelte, anche necessarie, portò, comunque, alla morte d’innocenti.
È il 1976, è possibile dichiarar che le Brigate Rosse non furono più le stesse da quando Mara morì combattendo. Dagli anni successivi, con i primi ideatori scossi dagli ultimi riscontri, va a formarsi il nuovo nucleo.
«L’estremismo di sinistra, che era non un terrorismo in senso proprio (non credeva infatti che solo con atti terroristici si potesse cambiare la situazione politica), ma era “sovversione di sinistra” come agli albori era il bolscevismo russo, e cioè un movimento politico che, trovandosi a combattere un apparato dello Stato, usava metodi terroristici come sempre hanno fatto tutti i movimenti di liberazione, Resistenza compresa. »
L’ex Capo dello Stato Francesco Cossiga, autore di alcune leggi speciali antiterrorismo e Ministro dell’Interno durante il sequestro Moro, nel 2002 affermò, in una lettera all’ex brigatista recluso Paolo Persichetti che le BR erano nemici politici, ma non dei criminali, dichiarandosi favorevole a un’amnistia e dando una valutazione della genesi del fenomeno del terrorismo rosso. (Wikipedia)
IN ANALISI LUCIDA DELLE PRIME BRIGATE
Le Brigate del 70-75 son volte alle lotte sindacali, al contrasto delle nascenti multinazionali, alla voglia di sovversione del ruggente sistema capitalista che andava a insinuarsi proprio in quegli anni.
Ispirati dalle parole di Sarte, Althusser, Ernesto Che Guevara come riferimento concreto, Mara cercava l’appoggio del basso ceto or divenuto neutro, medio e parziale, ammaliato dal lusso dei nascenti capitali quasi scevri da ogni forma di limite morale. Ora il tutto ha in sé la capacità di giunger al vertice, in sacrificio, forse, del corretto pensare, or focalizzato sol all’elevazione del proprio status. Disusa va l’etica, il sentimento e il senso comune. Nelle prime Brigate Rosse è innegabile che v’erano idee, coalizione, colonne difensive volte alla ricerca estenuante dell’appoggio della massa, concentrata per la maggior nelle fabbriche. Mara e Renato rivendicavano l’ingiustizia del potere, incentrato ad una politica ferma, stantia dal dopoguerra, i cui i partiti si sedimentano alla durevolezza del mandato a discapito del benessere collettivo, inebriati dall’ideologia dell’individuale, in cui è manifesto di grandezza sol la ricchezza del singolo. Il gruppo armato s’alimenta non dal caso, ma dall’incapacità d’uno Stato di promuovere l’ascolto, di non dar manforte ad origini disagiate, così anche, come Mara, di provenienza media, in visione dei soprusi di suoi simili, s’arma in loro difesa, perdendo, essenzialmente, qualsiasi cosa a lei promessa per origine. Il possedimento monetario è nuova fonte d’ambizione estrema, il potere è solo un mezzo per giungere ad esso. La massa fuoriesce dalla povertà perpetua in visione d’esseri, un tempo in condizione condivisa col decadente, ora, però, in parlamento, collocati agli attici delle grandi e nascenti imprese commerciali. L’importazione dei prodotti è vorace.
Si può adesso, col controllo dei mezzi di produzione, aspirare a divenir qualcosa.
Il capitalismo designa la speranza, poggiandosi sull’egoismo caratteristico degli esseri umani tutti, i quali, per la maggiore, son disposti a sacrificar ideali alla promessa del profitto, forse illusa, forse irrealizzabile, ma tanto basta aver fede nell’impresa da trascurare tutto il resto. Il capitalismo dà il modo alla collettività di credere d’elevarsi, d’attendere il giorno in cui sperare nella rivoluzione, che non è incentrata a mutare il sistema, ma a compiacerlo, rendendosene parte in cambio di fonti di reddito stabile. La penisola dei settanta è martoriata dalla precarietà del lavoro, dall’impossibilità d’affermazione di nuove tendenze a causa del regresso statico dell’ideologica dominante in amministrazione.
Che per proporsi nell’odierno s’adda sparger sangue. Possibile che tal un mutamento d’opinione passi proprio per l’accettazione del conflitto armato, o quantomeno per l’impossibilità di fronteggiarlo a parole, forse, primo elemento di governo, o comunque focal parte d’esso?
Logorar l’offesa, abolirla alla nascita, senza proprie argomentazioni, ma con la sevizia della stessa sostanza umana, che pur sempre appartenente ad un vizio di forma, seppur alle divise, tali codesti eran padri, come Graziano Giralucci, agente di commercio vittima dell’Assalto alla sede del Movimento Sociale Italiano di Padova(17 giugno 1974), lasciava al tempo sua moglie e la figlia Silvia di 3 anni. Giuseppe Mazzola, carabiniere, lasciava quattro figli nello stesso attentato.
“un errore molto grave e un disastro politico”.
Renato Curcio dirà dell’assalto alla sede del Movimento Sociale Italiano di Padova
Fino al 74 le brigate di certo non si sognavan mai di far vittime del proprio pensare, lo disse Curcio in una lunga intervista del 1992 con Mario Scialojia. Fu questo il primo omicidio rivendicato dal gruppo, con non poche titubanze. La scia del sangue non di certo fece bene all’immagine delle Brigate. Il rapimento di Scocci s’era concluso mesi prima con la sua liberazione, a supporto della marcia non aggressiva, volendosi, forse, distanziare dagli atti del gruppo del 22 ottobre, ma cosa può mai accader se il terrorismo va prendendosi sol come modello in riflessione, unica via per far sì che le proprie motivazioni vengano udite da chi di competenza all’amministrazione?
Allor cosa scaturisce l’impossibilità di dar voce ai tanti racchiusi nello spettro delle proprie pretese, limitati e indottrinati alla costante corsa verso la ricchezza, una strada che quei ragazzi non volevano certo percorrere?
La Lotta armata nasce sul principio del preservo, idealizza forse teorie irrealizzabili. Le Br rapiscono per riscatto, per finanziamento all’organizzazione, vandalizzano beni di lusso per espandere messaggio alla massa morente, pressata nelle industrie con salari minimi e inadatti. Cultura dell’utile, incentrata sull’aggressivo mercato libero, rende complicata l’ascesa individuale dei ragazzi, i quali si son visti tolti la priorità in un regno di dominazione produttiva. Credevano di poter ancor avere la possibilità d’estirpare il sistema economico, la politica “stagnante” che perdura dal dopoguerra, retta pur sempre dalle solite famiglie e cerchie, e indirizzare il tutto verso l’attenzione alla comunità in primis, a discapito dei crescenti e incontrollati patrimoni industriali. Un progetto, forse, tanto folle, ma presente equo nel cuore dei molti che son crollati in terra uccisi, lodevoli d’averci creduto, disposti a darsi alla morte in nome dei propri valori, cercando di minimizzare i danni a discapito d’innocenti, la stessa parte della massa che essi volevan difendere dalla caduta ingannevole verso lo sfruttamento col nell’anima la fede d’essere liberi un giorno. La stessa sinistra del tempo fa fatica a credere al terrorismo rosso. Azioni tanto concrete son impensabili per vecchi parlamentari in su voce del seggio.
Questo era il gruppo armato. I terroristi rossi, sanguinari assassini, nemici dello Stato, braccati e odiati, posti ai margini, devastati dai sensi di colpa per le uccisioni in errore, colpevoli d’essersi armati contro il chiuso parlamento, a non udir parole di benevolenza ed essere obbligati alla violenza, almeno fino alla caduta di Mara.

Il cadavere di Margherita Cagol dopo la battaglia di Arzello
D’ora in poi a causa dell’oppressione sanguinaria subita, le Br si modificarono nel corpo proprio, inizia il vero piombo. Dopo il 75′ quasi l’ideologia, che vedeva comunque il prosieguo d’un grande disegno economico e sociale iniziale si frammenta. I brigatisti della vecchia guardia divengono collaboratori di giustizia, non più identificandosi col nuovo potere or sanguinario, di cieca azione, violento fino all’estremo. Le Br perdono il consenso delle fabbriche, gli operai non vanno più in sostegno del movimento, anzi lo contrastato. Il sangue versato è troppo ed innocente, non erano questi i piani. Il popolo oppresso non sta a preoccuparsi più di certo alle condizioni disumane del lavoro industriale, ma teme lo stesso movimento brigatista. Coloro che avevan promesso di proteggerli ora stanno disseminando morte senza logica. Dopo il 1975 le Br, forse, non sono rosse, non sono unione, è solo un movimento di reazione, pulsazione illogica, rievoca le battaglie dei conflitti mondiali.
Gli italiani rivedono gli orrori della guerra.
Tutto questo è insostenibile. Lo Stato etichetta il tutto come minaccia primaria. Il supporto vien meno anche da quella parte di sinistra che forse stava iniziando ad apprezzar l’iniziativa, ma alla veduta delle uccisioni per strada, s’arrendono e condannano il movimento come terrorismo infondato. Sosterranno questa tesi i giornalisti Indro Montanelli e Giorgio Bocca.
Il Rapimento Moro è l’apice del disastro. Il tutto vanifica ogni atto di Mara e dei primi brigantisi. Dopo gli anni Ottanta, il popolo è stanco, le colonne cittadine vengono smantellate una per una. Le Brigate sono condannata alla dannatio memoriae, arrestate e processate.
L’atto è fallito, il capitalismo andrà ad affermarsi sempre di più, globalizzando le terre. È la fine delle Brigate Rosse, la lotta di Mara è morta con lei.
Sostituire la lotta armata con la lotta d’idee è massima prelazione, che siano le dicerie concordi alle destre, alle sinistre, alle anarchie, tutti gli esseri hanno diritto di pensare, d’esprimersi e di partecipar attivamente al loro governo se ritenuti degni dall’elitè intellettuale meritevole in concorde col maggior della massa. L’oppressione e la Tirannide portano inevitabilmente alla caduta del regime, le grandi guerre lo hanno dimostrato attivamente. Uno stato in censura cruenta, chiusa all’innovazione, alla dimenticanza delle sue prossime generazioni produce opposizione armata e terrorismo. Solo l’opporsi e il discutere quieto è modo d’eleggere il sistema più consono. Dominati con la forza v’è ribellione, armati per aggredire si volge al devasto, ma Mara s’armò per difesa, per quanto immorale, per quanto immane da accettare non disapprovando. Trascurar masse pensanti volge all’insurrezione, al piombo. Mara Cagol c’ha creduto fino alla fine. Erroneamente, ha pensato di poter contar qualcosa, di poter abbattere un sistema, che lei, personalmente, ed aveva pien diritto di ritenerlo tale, denigrava come disumanizzante.
Il tutto è poi degenerato nell’aggressione insensata.
“Lo stato borghese si abbatte, non si cambia”
Quantomeno non lo si abbatte aggredendo gli aggressori, ma promuovendo e portando idee concrete dinanzi al popolo, ma questo deve aver udito per ascoltare, etica, morale, dignità, tolleranza verso l’avverso, valori, predisposizione a crescita propria, dubbi perenni su proprio operare, su proprio decidere e agire.
Sol così il popolo è autorevole, degno. In comprensione dei propri limiti si tende ad ascoltar il parer in eccellenza di dimostrata scienza.
Trascurar la memoria di Margherita Cagol bolla il significato di quegli anni come un semplice movimento reazionario e illogico, e di certo, almen per un periodo, non lo è stato. Innocente è chi muore in piazza in mezzo agli scontri di due partiti opposti. È tanto stesso onorevole lasciar tutto per credere e maturare convinzioni, chiedersi se la strada intrapresa è equa. Interrogarsi sempre nell’umile dell’essere carne. Tali prescrizioni portano all’analisi logica dei fenomeni, scavano al fondo dei motivi di congiura. Se proprie priorità fossero state inadatte a quel sociale, di certo c’ avrebbe pensato il tempo stesso a dissuaderla dall’intento di continuar a progredire in idee rosse, invece era armata, violenta, un pericolo per molti.
V’era assoluta necessità di metterla a tacer per sempre col ferro al cuore?
Se Mara avesse avuto sua parte attiva nel mondo, non certo quella promessa a lei dal neutro del reale, donna dei settanta in famiglie tra quattro pareti, ma suo luogo eretto da propria passione, dalle scelte del suo ego, si sarebbe armata? Hanno merito le sue azioni d’essere condannate per i prossimi brutali assassinii delle brigate dopo la sua morte nel 75’? Aveva idee, è dimostrato, le è stato permesso di portarle quantomeno dinanzi all’opinione pubblica ammaliata dal profitto illuso senza lottare affiliata alle gilde militarizzate? Se avesse avuto modo d’essere adeguatamente rappresentata, invece di far parte attiva della massa dei giovani triestini inascoltati, sarebbe morta dissanguata dai proiettili? Se avesse avuto modo di combattere con la parola, avrebbe, comunque, adoperato detonazioni?
Forse sì, forse no, ma chiederselo e dubitare è atto logico.
Voglia d’informarsi e modellare visione propria è voler libero respiro.
Mara credeva nel valore etico, nella forza d’un umanità attiva, riflessiva, intraprendente, non nata al solo fine del profitto.
Comunità ferrea, in voglia di sostegno al prossimo.
Quanto adesso il prodotto ha celato morale a sostegno del progresso legato alla sola merce?
La lotta armata aveva un senso ed è degenerata senza autocontrollo.
Pensare è divenuto privilegio.
Gli individui non dubitano, Mara lo faceva.
La massa non crede più in sé stessa, Mara non smise di farlo fino a morirne.
Ora la folla ha modo di parlare grazie ai media, allor dialoghi e non stai sempre quieta, in rispetto di Mara a cui non è stata data la possibilità d’aver un diverso finale, in rispetto d’ogni innocente caduto di qualsiasi umana parte.
In rispetto di sé stessa l’umanità ha dovere d’ascoltarsi.
La nuova lotta armata è delle parole.