Dall’abiura di Galileo alla condanna a decapitazione di Ferrante Pallavicino, autore d’opere come “il divorzio celeste” che sanciva la profonda ed immorale autorità della fede in merito alla questione artistica, erompendo ferocemente in essa, mutilando la libera parola.
Egli scredita un culto di falsa benevolenza verso i valori di Cristo, temprato d’intolleranza e di crudele predominio. L’accademia degli incogniti fondata nel 1630 da Giovan Francesco Loredano a Venezia, vede proprio degli spettri della ragione rimaner scevri d’identità per non incorrere nelle sanzioni del credo. È il nuovo interrogarsi sul senso del respiro, sull’etica, terra della nuova rivolta intellettuale contro la proibizione della chiesa che con la Controriforma, al tempo, stringe la proibizione d’ingegno poco affine alla dottrina, in supporto del dogma, preoccupata per l’insorgere del protestantesimo, regredendo in ragione e compromesso, disapprovando il vero e mero progresso. Galileo pure, fedele cristiano, sancì il rapporto, provando ad intraprendere una via d’intermezzo, dove, per convinzione ovviamente, sua ricerca strenua di conoscenza non poteva intaccare il verbo di Dio, entrambe rivolte al vero dell’origine, giungendo così alla sconfitta con poi la condanna del 1633 dei due massimi sistemi del mondo. Così oggi, con la debellazione del canone eclettico-clericale, di complicata unione va il divulgare discussione su natura umana e scienza fedele al canone di mercato.
Leggendo tali novelle e analizzando, forse erroneamente, il presente, son giunto alla forte credenza che la fase del lume è ancora in atto, con potenzialità di forza pressoché incalcolabili e non espresse fino in fondo; lo dimostra il benessere sfrontato in cui ora giace l’umano vivere rispetto ai secoli addietro, conquista d’un ingegno libero, accademico, che ha prodotto giusti mezzi, sfruttati male col consumo estremo in parte e impiegato ancor peggio in altri settori, ma comunque d’utilità imprescindibile per i molti. Allora se tale s’è consolidata il libero rispetto per la scienza, che ora non deve più sottostare all’imposizione di spirito, perché ancora il dibattito di lume non s’attenua e non potrà farlo per i secoli a venire per, magari, spingersi oltre? La fase non s’è conclusa, prosegue, perché è tale la nostra convivenza, paradossale, con la conquista d’un mercato che riflette la meritocrazia dei prodotti, messi continuamente in competizione e sempre proposti dei nuovi, cosicché l’acquirente ha sempre nuove ed efficienti scelte per soddisfa dei suoi bisogni. La complicanza è venuta alla luce perché s’è prodotto nuovi pezzi di creato che certo soddisfano meglio d’altri uno dei più longevi desideri umani, l’ozio. Male è la noia se perpetuata per tutta un’esistenza. Ecco che il miglioramento delle condizioni di vita generiche, ribadisco, conquista e verità grandiose per il lume, avvalendosi di mercato consapevole, sancendo progresso adoperando studio concreto, peccherà di tali principi portando, nel tempo, a nuove problematiche per la massa, la quale, sempre più legittimata a non sapere, al non più armarsi in risposta ad una pace minacciata, perché non più in grado di riconoscerla, sarà adoratrice di classi diligenti inefficienti, creatura nata dal regresso di ragione, alimentato in credenza cieca e supportartici dei male prodotti d’arte; becera arte perché povera d’idea, perché incoerente, volta all’accettazione dei più, non al vero dire, alla voglia di sapienza e parlato, propensa a mettersi sempre in discussione, anche su pilastri di solida fondazione.
È ora di scindere, da stato-fede a arte-mercato, che seppur sono capaci, a volte, di coesistere in una specie di sano supporto reciproco, tale concezione crolla quando l’uno è confuso con l’altro e ad ora ciò è divenuta prassi, assimilando i due temi in un unico errato omogeneo miscuglio.
Figli del benessere, credono, ignorando, che tale luce le sia dovuta, quando sappiamo, la storia lo dimostra, che quando mutilato, abusato, zittito è il dibattito coerente, arricchitore di oratori e ascoltatori, la perdita per la comunità è ineguagliabile. Ecco il paradosso, il più grande; il dibattito longevo, argomentato, oggi, perisce nella libertà sua, perché per quanto sia cosa giusta il libero respiro e la libera parola, queste si tramutano in nocività se adottate inconsciamente. Quindi, ad oggi, la ricerca, il bello della materia, non ha possibilità d’emergere nel mare delle inutili sillabe dei molti, che piacciono, ma parlano del niente. Sono i Canoni del Mercato che premiamo l’accettazione del banale. Dare in mano le sorti del progresso ad una irresponsabile maggioranza sancirà il decesso. Non perché il generico degli uomini sia non degno, ma non spronato nell’istruirsi, accetta ed erra.
Sì, la cultura è in aumento tra le classi generiche, ma non basta; al medio serve sempre più coerenza per rispettare un mondo in rapida ed incontrollabile crescita d’acume.
Il fatto è che visionar vertici ingombri di promesse illuse, d’esseri mal intenzionati, creature giunte all’apice pur con poca sostanza di dire, fare e pensare, s’è tenuti a credere, erroneamente, che tal basti per considerazione futura, per gloria eterna d’intelletto, per così dire; oppure, ancor peggio, non s’è proprio tenuti ad aspirare a più del dovuto.
Quanto, fino ad ora, abbiamo perso pezzi di noi stessi in vaghi ragionamenti non condotti alla perseveranza della ragione, arrendendoci alla realtà frivola del mercato incontrollato?
Sogno un mondo di consapevolezza di non sapere e di scienza, ingegno, concretezza, terribili nelle parole, ma dimostrate; arte che parla, soddisfa, complicata, poggiata su solide basi di sapere, propensa alla discussione, al ritrattare, aperta, che sia tutelata e non messa al ribasso dell’acquisto, del mercato, dove, proprio in arte, si predilige unicamente ciò che si comprende, che appaga la cieca credenza e non l’illustre della nobile complicanza della vita.
Investire in formazione plasma un mercato equo, per vero meritocratico. Solo così sapremo adoperare futuro alla giusta maniera.
Il vero non è piacevole, lo sa l’ingegno. È superato il concetto Tolemaico dell’universo, il mondo al centro e l’immutabilità delle cose di Dio, la perfezione di natura e sede. Il lume è oltre, ha vinto una volta, ma a questo punto credo sia stata domata una sola e vivida battaglia, mentre la guerra non s’arresta. Il dibattito di lume ha dinanzi a sé un altro ostacolo: Convincere, ed espone banalmente, a volte ridicolizzando il tema, piegandosi al canone. La nuova censura del bello è della massa, divenuta acquirente per la sua interezza, detentrice dei diritti di decidere, finalmente, cos’è giusto. È il mercato a porla al primo posto, ma ella, la pluralità intendo, ricerca l’ozio, quindi il lume, lor padre, amante dell’umanità e del suo splendore, ha concesso ciò a loro che di poco s’appagano, vivi per loro solo dominio, tanto basta, incuranti del benessere del genere. I segni di tale decadenza son già visibili. Bisogna far presto, mettere un freno. Vorrei mi fosse stato imposto di dubitare, invece ho udito screditare il pensiero, inutile, perché tutto si è detto, non sapendo quanto bene avesse dato a noi e quanto ancora c’è d’apprendere. È tempo di virare altrove prima della caduta. Il lume non ha vinto, è rimesso in discussione e muore per il canone, soffoca non trovando spazio in vendita, nel mercato, nella vita dei più. Il problema è di coscienza, annebbiata proprio dalla luce che tanto s’è ricercata, perché non più tenuta ad alimentare lo spirito, perché tale è protetto, in pace.
Fin quanto durerà? Sapremo fronteggiare il caos delle prossime generazioni?
Il concetto è meglio assimilato se paragonato alle opere conservatrici di Catone il censore, stese contro l’ellenismo di derivazione dalla magna Grecia stanziata al sud della penisola durante gli albori delle guerre dell’impero. Il lusso cittadino derivante dal nuovo legame Roma-Grecia sancì un regresso culturale d’enorme portata. Catone optò per la condanna all’imparzialità del suo popolo su temi primordiali, che stando a inebriarsi della gloria e degli averi, perdeva identità primaria. Tale condotta forse può risultar rilevante come linea generica di pensiero analitico della situazione odierna, ma non si tratta certo d’andare contro e distruggere un sistema che tale ha sancito migliorie, o di conservare a propri un’ipotetica antichità di splendore intellettuale, o d’identità occidentale di radice gloriosa. No, non è questo. Siamo alla luce, ma questa si affievolisce per idiozia; il fine è vederci nell’elevazione intellettuale dei singoli ancora più potenziale di quello espresso, tenuto a freno da, essenzialmente, subdoli concetti e idee che son venute a galla perché il tedio, il neutro, perpetuati dei decenni, hanno portato a una svalutazione di sé stessa da parte della meritevole umanità, con dovere di chiedere di più; allora, che lo faccia, che dia adito alla sua potenza. Il pubblico non più domanda rispetto per sè, non ricerca, s’accontenta di cifre vuote e catalogazioni del niente, prediligendo il primo ad occhio, poltrendo ed assecondano l’insulto d’un arte che li seduce nella malizia, ingannandoli. Par proprio che incontrollata, la produzione, abbia come promesso loro d’essere privilegi; che sia la parola a dover abbassarsi al canone di comprensione dei molti e non i molti a sforzarsi un minimo d’intendere. Questo sancisce la decadenza dei quesiti, dell’intervento, stantia è la condotta.
Quanto è inadatta una pluralità che non ascolta i migliori per migliorarsi?
Il dogma di fede è quasi abbattuto, ora v’è quello dell’idiozia d’opinioni, ripetute, false.
Il dibattere di lume non è spento, non può riposare. Il concetto d’ingegno necessario e del suo potenziale corre numerosi pericoli d’essere screditato, sancendo un ritorno ad una sorta di sottomissione all’autorità del popolo, di censura del corretto perché inadatto alla rapidità del commercio, inabissato dalla malora di parola ed idea.
Dovere d’una coscienza è interrogarsi, chiedere molto, aver rispetto per sé, nutrirsi adeguatamente e se tale l’ozio è concesso, non può essere motivo d’aspirazione della classe artistica, politica, scientifica ecc., le quali non hanno il dovere d’abbassarsi a compiacere cuori vuoti, muti, imparziali, ma sono questi che devono esser spronati quantomeno a supportare il lume, perché ne vale pur della loro prosperità.
I canoni del mercato vanno invertiti, c’è della migliore di musica, ma questa è indietro, in terra, sotterrata dall’appetibilità dalle tante rapide, inconcludenti, dogmatiche, insensate, riflessioni, se tali si possono definire. L’esistenza, in sua natura grezza, è orrida, è l’uomo d’ingegno ad averla resa, perlopiù, sopportabile e sta smarrendo merito. Oggi emergono le personalità più errate per il consolidamento d’un progresso che deve, necessariamente, continuare, al fine dell’armonia e della comprensione d’una vita che non è scontata, né dovuta.

Le Sette opere della Misericordia, di Caravaggio(1606-07)
