Le nazioni si divorano perché una non potrebbe sussistere senza i cadaveri dell’altra. Io guardando da queste Alpi l’Italia piango e fremo, e invoco contro agl’invasori vendetta; ma la mia voce si perde tra il fremito di tanti popoli trapassati, quando i romani rapivano il mondo; cercavano oltre i mari e i deserti nuovi imperi da devastare, manomettevano gl’Iddìi de’ vinti, incatenavano principi e popoli liberissimi , finché non trovando più dove insanguinare i lor ferri li ritorceano contro le proprie viscere. […]
[..]Oh quanto fumo di umani roghi ingombrò il cielo dell’America, o quanto sangue d’innumerabili popoli che nè timore nè invidia recavano agli Europei, fu dall’oceano portato a contaminare d’infamia le nostre spiagge! ma quel sangue sarà un dì vendicato e si rovescierà su i figli degli Europei ! Tutte le nazioni hanno lo loro età. Oggi sono tiranne per maturare la propria schiavitù di domani: e quei che pagavano dinanzi vilmente il tributo, lo imporranno un giorno col ferro e col fuoco. Il mondo è una foresta di belve. La fame, i diluvj , e la peste sono nella natura come la sterilità di un campo che prepara l’abbondanza per l’anno vegnente: e chi sa?
Fors’anche le sciagure di questo globo apprestano la felicità di un altro.(dalle Lettere di J.Ortis)
INEFFICIENZA DELL’IMPERIALISMO D’ARMA E VALIDITÀ DEL DEGNO ESEMPIO
L’Europa nota ha sanguinaria storia con cui ancor teme di far conto. Ere d’imperialistici tormenti immani distribuiti al mondo per imporre, con brutalità, propria occidentale visione di vita, scienza, giustizia, politica, economia e via dicendo, riemerge incapace di definire adeguata difesa dagli assedi condotti contro la prosperità d’unione, turbando quiete decantata come gloriosamente perpetua, eppur, oggi, continuamente, minacciata. La definizione di quotidianità d’occidente è il frutto d’un unico trascorso dei secoli, sol in date terre vissuto dagli antichi imperi a quelli moderni, dal vecchio al nuovo mondo, dalla brutalità delle rivoluzioni a quella dei monarchi e delle repubbliche, ma manchevole è tal passato in estranee patrie. Impossibile obbligare l’adattamento se profondamente differenti son remote gesta in determinazione dell’accoglienza di vita segnata da uomini di diversità e tanto, comunque, vicini sempre ai primi bisogni d’etica umana, volenti sviluppo per splendore, stabilità per floridezza. È necessario convincersi di questo per comprendere che imporre l’obbligo ad altri popoli, con lor definita differente storia, di vivere al modo illuminista-democratico di libero mercato, possa alimentare l’offesa, soprattutto, se esortati a ciò dagli antichi feroci padroni.
Che l’Occidente tutto lasci respiro al mondo. Alle piaghe dia prova di solidità e alle bellezze dia salvaguardia, senza in esse intervenir più da conquistatore. Ottenga allora sol consenso per gli equi modi, che si renda modello, non dominatore.
Guarda che i popoli, quasi tutti, finalmente, giacciono, interconnessi e desiderosi d’agire, d’autonomamente decidere lex e società. Ciò l’Occidente nostro, molte volte, a priori lo ignora, o meglio ne sminuisce centralità di libero arbitrio tanto osannata dentro i sicuri confini, ma poi lasciato al caso oltre d’essi. Come s’arriva a una soluzione? Come s’arriva a rieleggere la crescita e la pace se il problema d’un vissuto carnefice e coloniale ancora giace raggirato e non riconosciuto dai più che tentano, erroneamente, d’attribuire l’avvento del disastro alla mania d’alcuni duces stranieri, rimanendo fermi nella propria certezza, anche questa erronea, d’essere esenti da qualsiasi responsabilità?
Rileggendo l’Ortis ci s’accorge della distanza temporale e morale che intercorre da quel 1799, dove il senso di colonia ancor pervade realisticamente, realizzato ad ogni angolo di lembo emerso ed esercitato tra gli stessi stati dell’ancora non definita unione, che continuamente si divorano per sviluppo, dando dolore alle proprie parti, tal che Jacopo ai colli Euganei s’uccide per l’amore non corrisposto di Teresa e consapevole della smarrita libertà della sua terra. Oggi Foscolo, forse, scriverebbe ristorato dal senso d’unione descritto in carta, ma, egualmente, giacerebbe sconcertato da quanto fragile esso sia, incapace di preservarsi, inabile anche sol nel riconoscere i propri nemici, che quelli più temibili son proprio interni, avvinghiati agli spettri d’Europa. Foscolo s’arrese al senso reale, dichiarando inutile la lotta alla Tirannia, perché essa sempre s’attua e nasce, figlia dell’uomo per com’è, infermo ed infelice. Torto alle sue conclusioni, impossibile darne, ma l’Occidente d’oggi è prova plurima della miglioria dedita a mercato ed opinione libera. In un modo, certo, si può far di più per il legame e il suo avvento, ma per far sì che questo accada occorre distanziare il lume dall’illusa idealizzazione d’una benevolenza astratta, indefinita, d’uomo ed impero d’armi. Sol proponendo una seria discussione per far ammenda e agendo sulla certezza che sempre uomini con manie di intenti sanguinari vanno ergendosi nel tempo, potrà realizzarsi la nuova intesa, più solida, che non s’illude certo per l’immortalità fasulla della pace, col popolo che sa quanto preziosa sia l’emancipazione del suo respiro, ma che questa non è scontata ne intrinseca in natura del globo e di conseguenza va con forza, mantenuta. La libertà è raggiunta per scontro e va preservata per ingegno, analizzando e armandosi non per invasione, che non è più delle legioni, ma delle immagini, delle idee e dei modelli. Allo stesso tempo, paradossalmente, è però inutile sperare in un possibile congedo degli eserciti. Inutile credere che l’Occidente d’essi non più necessiti.
La prova è ai confini slavi, lì dove l’agire è frenato per timore e per errate credenze deliranti rivolte al desiderio di vedersi ancora in agiatezza divenuta, perlopiù, maledettamente doverosa.
Tanto valida è, purtroppo dico, ancora l’arma bellica perché non s’acquieta l’indole accumulatrice degli individui volenti imperi d’armi e questa va tenuta a freno se resa minaccia per l’unione. La direzione è quella d’annientar conflitti certo, ma ad oggi, realisticamente, questi solo s’attenuano per terrore d’altri nemici, d’altri legami, più forti e pronti a difendersi con ogni mezzo.
Foscolo e le lettere del suo Ortis son delusi spiriti, incerti, esempi dell’Alfieri, immotivati più nell’esistere.
Dar ascolto al dolore è atto esplicito per debellarlo. La delusione degli esseri va udita per meglio definire attenuazione del male d’esserci.
L’Ortis analizza il tragico della conquista e l’avversità dei cittadini resi sudditi, in modo tanto fedele, di linguaggio, sì arcaico, ma provvedendo a definire un vero punto di partenza per interrogarsi efficacemente sulle nuove predisposizioni dei confini ed intervenire dove la vita è posta in allerta. Foscolo simpatizza per l’impero di Francia, forse, maldicendolo per offesa ed allontanato a forza dalla non ben definita libertà d’essi per cadere alla tirannide austriaca. L’Ortis è comprensione armonica di quanto proprio anche solo l’immagine, il poter ancor, un minimo, sperare nell’individuale gioia, non sia certo prerogativa indiscussa e non feribile. Il male dell’Ortis è d’ogni essere non udito, d’ogni uomo che chiede tanto alla rappresentanza per garantire dignità sua. Proprio quelle lettere persiane del buon Montesquieu sanciscono la vera lontananza straniera all’adattamento ai modi occidentali, che non possono essere imposti, ma devono, concretamente, agire per dar motivo d’essere imitate in ogni parte ad espandere, pacificamente e consensualmente, l’unione, col fine del legame d’ogni uomo diverso e indispensabile. La patria d’Occidente, invece, ora si fossilizza alla banalità incostante, inseguendo l’accettazione su ogni prerogativa e non l’idea, agendo per il suo singolo status e non per comunità di cui fa rappresentanza, tal che giace codarda nel non far espiazione dei suoi sbagli. Foscolo indirizza. La Venezia sua è colonia. L’obiettivo d’oggi è questo regno di repubblica e sani alleati, che non domina il singolo, oggi non può più farlo, ha sol dovere di dargli mezzo per come uomo realizzarsi.
Conosco che non si può rimutare la società; e che l’inedia, le colpe, e i supplizj sono anch’essi elementi dell’ordine e della prosperità universale: però si crede che il mondo non possa reggersi senza giudici nè senza patiboli; ed io lo credo poichè tutti lo credono. Ma io? non sarò giudice mai. In questa gran valle dove l’umana specie nasce, vive, muore, si riproduce, s’affanna, e poi torna a morire, senza saper come nè perchè, io non distinguo che fortunati e sfortunati. E se incontro un infelice, compiango la nostra sorte, e verso quanto balsamo posso su le piaghe dell’uomo; ma lascio i suoi meriti e le sue colpe su la bilancia di Dio.
(dalle Lettere di J.Ortis)
INEFFICIENZA DELLA COLONIA FANATICA
Non si può pretendere, certo, da semplici, come me, di farsi giudici, votare, scegliere sull’incomprensibile. Far ricadere l’immane scelta sul popolo diviso, che sempre sarà tale quando si decide sul complesso tema, sull’arduo d’interpretare. Questo è atto ignobile da parte della rappresentanza, che così facendo si dimostra certo incapace d’operare, di preservare il bene più prezioso, ovvero la capacità delle prossime nascite eretta sul sapere del vero. Questi infelici, sfortunati, come l’Ortis, non hanno più pretese sui propri dirigenti, perché anni d’inezia amministrativa, debole, che gioca coi propri destini resi tanto incerti e miseri, li ha amareggiati a tal punto che or giacciono delusi. Ecco, gli sfortunati non si battono più per una classe d’amministrazione di grandi, fermi nella risposta e pronti ad assumersi colpe o a darsi glorie. È tal che manca coraggio. Un’Europa che sembra denigrarsi dall’interno, disgregarsi autonomamente e dar la colpa ad altri. Non più dibattente, sembrante concentrarsi sulla trascuratezza di temi vuoti, ma che assecondano la semplicità dei più e dei loro rappresentati indegni, non agenti dove la minaccia è sedimentata all’oriente o al medio, sottovalutando le avversità ad esse arrecate ed ancora attaccata, morbosamente, al senso di superiorità proclamato alle antiche colonie inermi, stanche di sentirsi vittime dell’arroganza nostra Occidentale, che predica lor il giusto dei confini e delle unioni e poi non la difende per viltà.
La Colonia, come lo stato di Dio, è antiquata, inattuabile ed inattuale.
Il lume ha sancito la separazione dalle cose d’uomo e dello spirito suo. Il governo è delle prime, ed è coerente, brutalmente focalizzato al brutto e storpio reale. Anche se la Colonia, negli atti, è debellata e condannata, ancor pervade nel senso comune. È che non s’è mai ancora superato il senso delle vecchie conquiste, semmai ancor la storia giace trascurata nei primi anni d’istruzione dove essa è ben definita omettendo la brutalità dello slavery esercitato dai propri avi, che di certo non può esser mutato nelle battaglie, ma, il suo maldetto esempio può essere adoperato adeguatamente per nuova intesa, per dirsi colpevoli e punire le nuove tirannie e i nuovi eccidi.
Gli Occidentali crescono con l’illusione d’una giusta patria, ignorando quanto sangue è stato estratto per delinearla.
È l’egoismo dell’unione che agisce da singoli, che tal se vuole elevarsi rispetto al despota ha necessità del consenso dell’interezza dei popoli, non del suo indottrinato elettorato. Se ancora non s’è convinti di questo, se ancora non s’è convinti che il credersi padroni mai è debellato, ma trasformato nelle motivazioni e ancor crede d’adottare l’unico modo di vita giusto ed inattaccabile sotto ogni punto, forse la regina prova è palesata direttamente nei recenti, lontani geograficamente, trascurati massacri. Tanto per citarne uno d’estrazione al trattato vicino, Ruanda al 1994. Controlla le colpe d’ogni massacro.
Al contrario, le lettere dell’Ortis fanno ancor di più che ben definire, senza omissioni, il trascorso d’Occidente, ma si pongono dal punto di vista d’un oppresso e del suo male. Adoperiamolo per meglio intendere. L’Ortis aveva merito d’avere una scelta, ma su ciò che gli compete. Su temi che ad esso non sono associati, ha diritto di lasciar la competenza di questo ad un rappresentante eletto e capiente. Ora, partendo dalla verità del male e dei supplizi, dell’impossibilità di noi infelici di mutare la predisposizione all’egoismo dei nostri simili, la soluzione è far sì che ad ogni regno d’uomini sia garantita la diversità, le ambizioni, ma ancora più grande è uniformare gli interessi d’ogni popolo che agisce per suo conto. Se garantita è la vita nei territori d’influenza d’Occidente, molti altri, vedendo l’unione come buon esempio e terra proficua, ad essa s’aggregheranno non per servirla, ma per aggregarsi imparzialmente ad essa, adoperandola per profitto. Non avere da lei non richiesti insegnamenti, amore, né pulsazione, ma materiale agio e rispetto, che è quel che conta.
Se capite e dichiarate sono colpe d’ognuno e libera è l’idea anche del Tiranno, questa, dal regno in pace ed unito d’Europa, fondato da nuovi pezzi associati che in Occidente non vedono più colonizzatori e maestri, ma alleati e proficui compagno, giace inascoltato sul nascere e sarà la nuova quiete.
forse questo tuo furore di gloria potrebbe trarti a difficili imprese, ma… credimi, la fama degli eroi spetta un quarto alla loro audacia, due quarti alla sorte, e l’altro quarto ai loro delitti.
(dalle Lettere di J.Ortis)
PERSEGUIRE L’INTERESSE ESPLICITO E MATERIALE
Parini, ormai invecchiato, dialoga con l’Ortis, mettendolo in guardia dal brutale ed infelice destino degli eroi, definendo, con ansia dell’infausta concretezza del reale, il mezzo adeguato a governare che un po’ richiama la ferocia del principe machiavelliano e della spietatezza d’adoperare per esser degna creatura di direzione, che ha riguardo per il vero interesse d’uomo che è plastico ed esplicitato in materia, nulla di più. Inutile cedere alle pulsazioni e alla falsa idealizzazione del destino d’uomo che certo non giace segnato, ma plasmato dalle sue decisioni, a volte prese ingoiando l’amarezza dell’avvelenata sorte, ma adottante criterio e lealtà ai propri ideali, che sì, per l’uomo d’ingegno, muteranno, certamente, col tempo, perché sempre d’umanità andiamo trattando, però queste, aventi criterio, giudizio e supporto dei degni, saranno giuste trasformazioni.
Chiunque s’intrica nelle faccende di un paese conquistato non ritrae che il pubblico danno, e la propria infamia. Quando e doveri e diritti stanno su la punta della spada, il forte scrive le leggi col sangue e pretende il sacrificio della virtù. E allora? avrai tu la fama e il valore di Annibale che profugo cercava per l’universo un nemico al popolo Romano? – Né ti sarà dato di essere giusto impunemente. Un giovine dritto e bollente di cuore, ma povero di ricchezze, ed incauto d’ingegno quale sei tu, sarà sempre o l’ordigno del fazioso, o la vittima del potente. E dove tu nelle pubbliche cose possa preservarti incontaminato dalla comune bruttura, oh! tu sarai altamente laudato; ma spento poscia dal pugnale notturno della calunnia; la tua prigione sarà abbandonata da’ tuoi amici, e il tuo sepolcro degnato appena di un secreto sospiro.
(dalle Lettere di J.Ortis)
IL DOMINIO DEL MODELLO
Or l’Annibale del Parini, riflesso al presente, è essere del consenso, del giudizio, della media, della scienza e della ferocia intellettiva. Conquistatore di voglie, non di corpi e terra, perché, certo, minerali fanno gola, ma sol l’influenza dei giusti dona loro prosperità e ricchezza e tal benevolenza ora, al presente, si raggiunge col solo senso della vera tolleranza. Oggi, sol conflitto inutile e improficuo è pulizia etnica. Anche la massa incerta riconosce ferocia ed ha mezzi per informarsi sugli eccidi. La lotta sulla reale integrazione d’ogni uomo va poi posta su pilastri di proprie vecchie stirpi riconosciute come perseguitrici, abbandonando impressione sull’estremismo d’annullamento d’ogni torto per unica voglia d’appartenenza all’estetica del giusto e del beniamino spirito. V’è necessità d’una nuova voglia d’unione che s’adda espandere anche alla più rude delle comunità definite dall’Occidente distanti per modi. La filosofia d’Aurelio imperatore fomentata sulla superiorità d’una stirpe eletta al governo dei tanti non giova alla causa del reale e non può certo garantire prosperità a regni che, autonomi, hanno capacità belliche tanto abili da devastare ogni sede, ma forse vige quella del modello tollerante. Il mondo ha necessità d’essere unito, e per farlo, ribadisco, non può gemere sotto le manie d’un dominatore. Basta osservare gli atti di quanto infondata sia tal proposito, ma è l’unione nuova che darà priorità all’accontentare il senso d’accumulo umano e giusto. I popoli oggi vagano senza modelli eppur hanno scelta, perché in tutti ne riconoscono la ferocia, rimanendo a lor avversi, oppur scelgono d’attingere ad aspetti dall’uno e dell’altro blocco, liberi negli atti. Indottrinati a forza vanno, obbligatoriamente, ribellandosi per naturale voglia. Qualsiasi etnia, perché d’uomini tutti condivide la voglia d’esistere, giace in strenua ricerca della quiete e della realizzazione. Essa adotterà sempre tema, terra e continente, dove queste son a lui dovute, assicurate, dove la pace è stabile, dove gli infermi hanno cure, dove v’è possibilità decisionale d’ignorare o completarsi in nozioni e sapere. Che sia garantito ai fragili d’Ortis d’essere deboli, ma tutelati, rappresentati al vertice. Al contrario, sia predisposto, l’essere del governo, alla caduta, alla necessaria potenza per ricoprir carica. Sia capace di risorgere, d’accontentare, d’essere fermo nelle decisioni, che possa essere assistito dai grandi, siano anche loro riconosciuti come tali, che sia consapevole del suo ruolo condiviso con altri, rispetto per ogni amministratore, non principe, ma curatore capace, abile, consapevole dei pericoli a cui s’espone; sappiano lor tutti dar valore della vita e al comun benessere. Radice, però, della repubblica equa, della massa audace e pronta ad armarsi per difesa, è la cura del popolo per i loro semi e i prossimi fiori, ed il rispetto per la sapienza, madre della prosperità e il sistema che adeguatamente la diffonde tra loro. Tal verità e sua espressione, in patria, manca ancora perché mancano i colpevoli.
Ma poniamo che tu, superando e la prepotenza degli stranieri, e la malignità de’ tuoi concittadini, e la corruzione de’ tempi, potessi aspirare al tuo intento; di’? spargerai tutto il sangue col quale conviene nutrire una nascente repubblica? arderai le tue case con le faci della guerra civile? unirai col terrore i partiti? spegnerai con la morte le opinioni? adeguerai con le stragi le fortune? Ma se tu cadi tra via, vediti esecrato dagli uni come demagogo, dagli altri come tiranno. Gli amori della moltitudine sono brevi ed infausti; giudica, più che dall’intento, dalla fortuna; chiama virtù il delitto utile, e scelleraggine l’onestà che le pare dannosa; e per avere i suoi plausi conviene o atterrirla, o ingrassarla, e ingannarla sempre. E ciò sia. Potrai tu allora inorgoglito dalla sterminata fortuna, reprimere in te la libidine del supremo potere che ti sarà fomentata e dal sentimento della tua superiorità, e della conoscenza del comune avvilimento? I mortali sono naturalmente schiavi, naturalmente tiranni, naturalmente ciechi.
(dalle Lettere di J.Ortis)
IL DOVERE VOLONTARIO È GARANTITO DAL DIRITTO PROTETTO
Assecondati ai concetti della nuova unione, s’adda associare anche quello della nuova norma, e della nuova figura d’amministrazione. Il Parini nell’Ortis espone a Jacopo quanto dolore può portare le decisioni in governo. Non s’avrà mai, ad oggi, una lucida capacità di giudizio se la repubblica giace, continuamente, sottoposta all’obbligo di decimare e violentare. Tal concetto, come detto, non porterà all’annessione degli stranieri al modello dell’unione, perché con le barbarie non è garantito all’uomo l’esserci e dominati i molti questi vivono col senso di rivoluzione sedimentato in sé, pronto a scagliarsi contro i padroni. A questo punto ecco che l’intervento del popolo è d’obbligo, per questo esso è parte attiva del suo governo e lo fa alimentando istruzione e senso di civiltà sana, attirando l’esterno verso l’aggregazione e l’accettazione dell’Occidente spontanea, attiva, voluta più d’ogni altra cosa. Alimentandosi del realismo, però, è impossibile idealizzare l’uomo come bestia civile, ma assecondarlo come belva d’accumulo qual è, può portare beneficio al modello d’Occidente. In breve, ogni mossa del disegno di governo va ad assecondare gli interessi materiali e plastici del singolo, il quale, vede, nel rispetto a lui riservato, nell’equo sistema giudiziario partendo dal Beccaria, e nella partecipazione attiva alle azioni di stato, sol vantaggi per sé e per gli esseri a lui annessi in stirpi, famiglie, legami d’ogni sorta.
Come si può pretendere d’avere dalla media la buona parola se questa ha sfiducia nel sistema che la ingloba?
L’uomo libero d’amare è profitto per l’unione e per la comunità. È dovere cosciente garantito dal diritto protetto. Inutile fondare scopo dello stato sul romantico del letterato, o sulla bella addomesticazione del poeta. Sol il freddo della cinica scienza può dar linfa alla pace e vincere il nemico d’essa perché subito riconosciuto come tale dalla maggioranza che si raduna per dialogare del miglior modo per affrontar ostilità. Col rispetto del prossimo garantito dai suoi personali interessi, ecco che la repubblica dei più grandi perde peso. Giacendo immacolata, può concentrarsi sulle tematiche complesse che essa ha dovere d’affrontare se la media è con lei. Una volta eletto l’amministratore democraticamente per un duraturo mandato stabilito in precedenza, la massa s’assume tutta la responsabilità delle azioni contorte o eque dei suoi amministratori voluti. Se bene è giudicato il governo questo sarà rieletto in coscienza. Riflesso della classe d’ingegno è richiesta della maggioranza e queste deve giacere informata e dotta.
ULTIME NOTE SULL’OPPOSIZIONE E LA COMPETIZIONE DELLA LIBERA PROPOSTA
L’Ortis ha come opposto la sua stessa vita. La repubblica ha dover di vincere il neutro senso e fornir supporto ai fragili perché, tal è sua ricchezza il preservo dei ragazzi e degli instabili d’animo, logorati; infatti, basando tutto sulla trattatistica spietata machiavelliana, tutti lor son risorse per la grande macchina di governo. Lor solo, soddisfatti, spargeranno voce dell’equa terra d’Occidente e senza parlare né imporre, ma con fatti, sarà fatta richiesta d’entrata dall’Oriente perché dall’altra parte essi vanno a percepire speranza. Il vecchio mondo s’adda rendere moderno ed accogliente. In ultimo, alimentare la competizione del libero mercato ha riflesso anche sulle soglie della repubblica e dell’istruzione, per dir al volo, l’unione ha da basarsi sulla spietata, tutelata, regolare, rivalità tra proposte, merce, visioni. Se la massa poggia su solida istruzione e competenza media essa sarà in grado d’ergere l’equità in difesa della sua prosperità e sarà la pace. Giusti meriti poi distribuiti all’utilità e all’intelletto. Foscolo, forse, c’avrebbe creduto in questo?
SPERANZA
Sogno che le Terre tutte vedano nel nostro Occidente una degna tolleranza delle altrui idee sempre esercitate in rispetto di natura e umana mole. Una forza d’unione concreta, solida, bellica, in difesa dei confini e della libertà dei singoli, senza distinzioni d’alcun tipo. Un movimento unito d’intervento in preservo. Popoli tutti, che riconoscendo diversità, condividono i modi per accrescere interessi concreti e perseguono la felicità perpetua. Sogno parola tutelata, oppressori, indegni, intolleranti e estremizzati, compresi, ma che sia, a quel punto, l’istruita comunità a riconoscere il degno essere a cui rifarsi per maledire Tirannia ed imperialismo d’arma. Di conseguenza, è d’obbligo una meritevole classe intellettuale ed amministrativa abile nel riconoscere soprusi e violazioni, di concepire, condannare, mutare, ed un mercato libero ad etica concorrenza, in rispetto d’ambiente e lavoro, per decretare miglior prodotto. Riguardo poi per l’opposizione come dubbio d’ascolto e forse accoglienza, non come bestia da abbattere a priori. E soprattutto, una maggioranza consapevole ed autonoma per appoggio di progresso e ricerca.
L’Utopia delle proposte s’arrende se l’Occidente, con sé, fa pace e ammette d’essere stata atroce.

Ritratto di Ugo Foscolo di François-Xavier Fabre, 1813
INDICE:
- INEFFICIENZA DELL’IMPERIALISMO D’ARMA E VALIDITÀ DEL DEGNO ESEMPIO
- INEFFICIENZA DELLA COLONIA FANATICA
- PERSEGUIRE L’INTERESSE ESPLICITO E MATERIALE
- IL DOMINIO DEL MODELLO
- IL DOVERE VOLONTARIO È GARANTITO DAL DIRITTO PROTETTO
- ULTIME NOTE SULL’OPPOSIZIONE E LA COMPETIZIONE DELLA LIBERA PROPOSTA
- SPERANZA
