2. Complotto

– Chi cazzo sei?  
– Come scusa?
– Ho detto chi cazzo sei? – urlò.
Nello sguardo di Vittorio impresso tutto il selvaggio rimprovero rivolto allo sconosciuto dal volto grigio.
– Vittorio, smettila! – Lucia era stata costretta ad inseguire l’amico ed ora gli stava accanto, pronta ad intervenire in caso di scatto avventato.
– Mi stai fissando da quando sono entrato. Cosa vuoi?!
La porta dell’ingresso del locale, tutta ornata da pezzi di vetro snelli incastonati a formare mosaici, si spalancò.
– Uo, siamo alle solite!
Sara Michielli entrò nel bar. I suoi capelli rossi e lo sguardo armonioso ebbero un effetto sedativo sulla voglia di sangue di Vittorio. Il corpo slanciato e setoso racchiuso in un giubbotto aderente e scarlatto, impregnato della pioggia della notte che batteva fuori ad ogni rintocco del grande orologio dalle lancette curve posto su di una parete spoglia. I guanti scuri di seta e le pupille dilatate dal clamore che dall’esterno già si avvertiva.
– Un altro incontro tra maschietti? – chiese ironicamente la nuova arrivata.
Vittorio parve frenarsi. Lucia, sorpresa, gli stava alle spalle.
– Ancora problemi, Vittorio? – si palesò anche Andrea che aveva lasciato tempestivamente la postazione al bancone vedendo l’amico alzarsi di scatto e puntare l’ingresso con rabbia. Adesso poggiava una mano sulla spalla di lui. Lo tratteneva da azioni illogiche che avrebbero potuto costargli caro. Altre persone, attirate dalle urla del ragazzo, si erano dirette nei pressi dell’entrata e calpestavano il tappeto orientale ricamato che copriva il pavimento chiaro e abbellito da un arancio vago, con l’intento di seguire il continuo della vicenda.
– Scusate, io non capisco. – disse lo sconosciuto in modo confuso.
Lucia notò, osservandolo da vicino, che l’aspetto dell’estraneo scemò in quello di un banalissimo uomo di mezz’età dalle iridi, sì, chiare, ma di un celeste tanto scolorito da trasmettergli solo un senso di patetica pietà. L’uomo, infatti, appariva visibilmente spaventato dalla minaccia di Vittorio. Pareva aver assunto nuove fattezze dal demone dallo sguardo fisso che pochi attimi prima era rigido sulla porta. Quanto quelle luci del soffitto dipinto avevano capacità di trasformare un viso tanto neutro?
– Cos’è successo?
– Nulla, mi sa che il nostro amico ha scambiato il signore per un’altra persona. – Lucia tentò di sedare la tensione altamente percepibile nella scena invasa da un gruppo definito che sempre più aumentava di numero e ci riuscì in parte perché molti, annoiati dalla neutra spiegazione di Sara, tornarono ad occuparsi dei loro affari.
– Oh, io non… – balbettò l’uomo.
– Sì, deve scusarlo signore. Purtroppo, il nostro amico Vittorio è fatto così! – disse Sara prendendo sottobraccio Andrea, che annuì e lasciò Vittorio. Lucia tentò di esporre il sorriso più forzato che potesse mai produrre, distraendosi dall’orrore che quell’essere gli aveva trasmesso in precedenza.
– Tu, con quel cappotto! – riprese Vittorio mostrando di non essersi calmato affatto; anzi, continuava a digrignare i denti in mondo assai molesto.
– Dai, Vittorio! Il signore non ha fatto nulla. – lo rassicurò Sara.
– Prima mi sei venuto addosso.
– Io?! – il signore indicò sé stesso tentennando.
Lucia era ferma a ripensare alla scena. Il cappotto era, certamente, identico.
– Non è lui. Quello non è entrato in questo bar. Si è allontanato quando ti ha colpito.
Vittorio si rigirò in direzione di Lucia che aveva tentato di scuoterlo e portarselo via.
– Non hai notato come ci fissava, Lucia? Non ci ha tolto gli occhi di dosso per un attimo!
– Cosa?
– Mi prende in pieno, scappa e poi lo ritrovo nel bar a seguirmi come un cane. C’è qualcosa che non va!
– Dai! E cosa sarà mai un uomo attento che riconosce i bei ragazzi? – Vittorio rimase impassibile al tono altezzoso di Sara. Lucia era perplessa. Se da un lato vedeva quanto Vittorio fosse provato dalla situazione, tanto da respingere le attenzioni di Sara, conosciuta da poco e per lei molto ambigua nella personalità; dall’altro, trovava legittimi i dubbi del ragazzo. Un brivido la percorse lungo la schiena.
– Io non…non so nulla di questo, mi scusi.
– Dai, devo tornare a lavoro! – esordì Andrea spazientito.
– Mi scusi signore per l’inconveniente. Se vuole restare, il locale è lieto di offrirle un drink per lo spiacevole equivoco. – e Andrea si pose tra l’uomo spaventato e Vittorio.
I due amici incrociarono gli sguardi e si compresero al volo. L’uomo ritornò rigido e abbottonò gli ultimi bottoni rimanenti.
– Grazie, ma credo che andrò altrove. Magari un bar dove dei ragazzini non vengono a minacciarti!
– Mi dispiace, signore. Ancora le più sentite scuse.
L’uomo parve di nuovo osservare la donna grassa in lontananza prima di uscire fuori dal Bar Rebbia. I ragazzi restavano vigili.

Vittorio accettò di non causare ulteriori fastidi e tutti e quattro si incamminarono verso il bancone.
– Che ti è preso? Vuoi farmi licenziare? Qua tutti sanno che ti conosco! – Andrea richiamò la sua attenzione.
– Ogni cazzo di volta devi mettermi in ridicolo davanti a tutti, oltre a farmi rischiare il posto!
Lucia si aspettava un intervento diretto di Sara come al suo solito, qualche battuta indegna, qualche pettegolezzo o sottigliezza di disprezzo o approvazione, ma niente. La ragazza rimase a togliersi la roba invernale e a sistemarsi il leggero maglioncino bianco contraendo il collo pallido colmo di inespressive collane d’oro e sistemandosi una gonna nera stretta ad evidenziare due fianchi spessi. Poggiò tutto sullo sgabello al bancone semicircolare senza dire una parola. Quasi sembrava sentirsi umiliata.
– Scusami. È evidente che mi sono sbagliato. – si scusò Vittorio con Andrea in palese falso modo.
– Dai, torna a casa a bere latte coi biscotti! È evidente che l’alcol non lo reggi!
– Tornare a casa? Ma io sono appena arrivata! – riemerse Sara a riprendersi il palcoscenico; ecco che con la sua gestualità accesa e grottesca si sfilava i guanti.
– Dai, non potete farmi questo! Le altre ragazze mi hanno scaricato tutte. Mi rimanete soltanto voi! Lucia vuole rimanere non è vero? -Sara proruppe in un flusso di parole continue dette senza riprendere fiato.
-Dai, Andrea, non cacciarci, siamo innocenti! – e si strinse alle spalle di Lucia che, a disagio, cercò di accettare e sorridere al suo solito modo accondiscendente.
Andrea si grattò il baffo e puntò un dito contro Vittorio.
– Ti tengo d’occhio, bastardo!
Agli occhi di Vittorio, quel che doveva essere un fisico minuto e sottile, apparve come quello di un gigante pronto a tiranneggiare e imporre il suo verbo. Una sensazione strana che scombussolò il suo spirito già messo a dura prova. Andrea tornò dietro al bancone spiegando agli altri due colleghi la questione. Quelli annuirono e tornarono al lavoro.
– Certo che non cambi mai! Non mi stupirei se mi dicessi di essere stato in prigione!
– Capita di sbagliare. – rispose Vittorio all’accusa di Sara e tornò a sedersi allo sgabello come spazientito. Troppo razionale e analitico per continuare quella scenata inutile di poco prima e, soprattutto, per tentare di giustificarsi agli occhi di una personalità superficiale come quella di Sara.
– Ok, allora io vado a prendere da bere. Mi infilerò in quella folla di pazzi ed emergerò con tre dei migliori alcolici di questo bar! – disse Sara ed indicò la calca di persone che chiedeva incessantemente da bere ai tre baristi indaffarati.
– No, dai, Sara, non serve!
– No, insisto! Il primo giro lo offro io. Magari così riusciamo a calmarci un po’ tutti! – e Sara scomparve in direzione della cassa.
– Allora? – domandò Lucia. Vittorio era seduto curvo con le mani intrecciate sul bancone. Lo sguardo perso, ma giudizioso. Rifletteva tra sé e sé.
In un solo attimo, però, il ragazzo mutò d’espressione e fece un cenno assai inusuale per i suoi modi, ponendo l’indice verticale tra bocca e naso. Un gesto veloce rivolto a Lucia che la esortava a rimaner in silenzio.
– Cos…?
All’improvviso, una figura ingombrante emerse dalla sala da ballo e si diresse, sicura sui tacchi, dai due ragazzi. Una donna maledettamente formosa si sedette di fianco a Vittorio prima che Lucia potesse fare altro. Due occhi rapaci ed un trucco pesante e blu che investiva l’interezza delle palpebre. Le labbra tanto rosse e i capelli a caschetto neri culminavano tutti in un vestito glitterato di pura eleganza che poco si addiceva all’atmosfera intima del bar Rebbia. Era la donna grassa di prima. Lucia aveva già visto quella signora o meglio ne aveva, precedentemente, studiato ogni gesto, rimanendo perplessa dopo aver notato la grottesca coordinazione dei movimenti di lei col resto della sala da ballo. Un fenomeno che ancora la giovane non riusciva a giustificare razionalmente e ora guardava confusa la scena.
– Ehi, ragazzo! Hai voglia di offrire da bere ad una signora assetata?
Anch’essa, come l’uomo stempiato, vista tanto da vicino, mostrò forme diverse da prima, meglio modellate di come apparivano sotto le luci del locale in lontananza. Lucia si convinse di dover ricorrere ad un bravo oculista.
– Se mi lasci bere in pace un altro po’ ti raggiungo io! – rispose Vittorio con tono cordiale e mostrandosi disponibile.
– Sai dove trovarmi, ragazzo.
La donna sospirò e si alzò dalla sedia.
– Con permesso! – si rivolse a Lucia che si sentì una bambina ciondolante su un’altalena remota dinanzi a tanta matura presenza. Una sensazione di bruciore nauseante le trafisse lo stomaco a causa dell’odore forte della sconosciuta. Così quella si allontanò mescolandosi alla calca.
– Ma cosa succede qui? – domandò Lucia per poi sedersi nuovamente.
Vittorio, con un cenno, le propose di guardar davanti a sé. Allo specchio della cristalliera, Lucia vide l’uomo stempiato rientrare nel locale sotto invito della signora che prima aveva salutato col fine di andar via. La ragazza deglutì nervosamente. Tutte sensazioni assai strane che la derisero dall’alto della sua incapacità di dominarle.
– Non capisco.
– In un mondo che uniforma è facile mettere tutti d’accordo.
– Cosa vuol dire? Chi si mette d’accordo?
– Le persone in questa città e stasera quelle in questo bar.
Lucia tornò a guardare allo specchio. L’uomo stempiato si tolse il cappotto e si ricongiunse alla sua comitiva come se niente prima fosse accaduto.
– Quell’uomo. Che ne pensi? – chiese Vittorio
– Cosa devo pensare di lui? Cosa devo pensare di te?
– Dimmi allora cosa pensi di me.
– Penso che non sia normale quello che fai, Vittorio. Aggredire uno sconosciuto perché ti fissa un po’ troppo?
– Credi sia questo il problema?
– E quale sennò?
– Sai anche tu che era lui all’ingresso.
– Smettila! Perché avrebbe dovuto colpirti, fuggire e poi seguirti dentro al locale?
– Non lo so, ma lo ha fatto.
– Va bene, facciamo finta sia vero. E allora? Non ti ha visto. Era buio!
– Andava nell’altra direzione, è fuggito!
– E allora?
– Mi ha visto in faccia e ha visto che stavo puntando al bar.
– E allora?
– Perché entrare? Perché fissarmi così? Cercava me o, comunque, voleva nascondersi da noi.
– Perché avrebbe dovuto?
– Non ne ho idea.
– Sei completamente fuori di testa! Tu e i tuoi cazzo di complotti! – non era certo da Lucia cedere all’odio in quella maniera, ma Vittorio le dava sui nervi. Avvertiva tutto quel potenziale buttato via per fantasie.
– Da quando ti sei trasferito in questa città di merda sei diventato…
– Come?
– …diverso.
– Credi che sia impazzito?
– Hai bisogno sicuramente di aiuto con questa roba della gestione della rabbia!
Le iridi di Vittorio si illuminarono di una luce nuova, non violenta, ma passionale. Non poteva essere odio quello, ma desiderio.
– Perché sei venuta qui? Pensaci!
– Per mio padre.
– E dove ti ha dato appuntamento?
– In questo bar domani sera.
– Così sei venuta da me. Hai lasciato il lavoro, gli affetti e tua madre per venire da sola ad incontrare un uomo che non vedi da tempo.
– È mio padre!
– Un padre assente che solo da due anni hai avuto il coraggio di scacciare in malo modo da casa dopo l’ennesima violenza. – cominciò.
– Un padre che lascia il paese per la stessa città dove io stabilmente risiedo, il tuo più caro amico, che, guarda caso, ha l’idea di metterti in guardia, di mostrarti il locale. Un padre che sceglie proprio il bar che amo e frequento da sempre?! – concluse.
– Smettila!
– Pensaci, Lucia!
– Come cazzo ti permetti di buttare in mezzo quello che ho passato?
Vittorio si ritrasse come a sentirsi colpevole.
– Le tue fantasie sono assurde. Tu non sai niente, né di me, né di mio padre! – Lucia sentì le lacrime quasi palesarsi e certo le trattenne, o tentò di farlo con tutte le sue forze
– Credi mi sia dimenticato come sei fatta? È perché sono andato via?
– Io… – Lucia rifiutò di guardarlo e si rivolse altrove.
L’uomo stempiato, osservò Lucia mentre adirata si agitava, non era al tavolo col suo gruppo. Dov’era? Dov’era andato? La giovane si scosse a cercarlo in ogni direzione possibile. Il cuore le balzava in petto pulsando. La testa divenne insostenibilmente pesante a causa dell’afflusso improvviso di sangue e affanno. Tutto venne occupato da un’onda di colore anomalo, selvaggio e sconosciuto, che invase lo spazio penetrando in ogni angolo illuminato. Era un mondo che, all’improvviso, si spegneva nel dubbio dei suoi protagonisti.
– Voglio andare via! – quasi gridò, ma, a causa della musica alta, nessuno la udì ansimare.
– Ehi! – Vittorio le pose una mano salda al braccio esile. Il suo sguardo intenerito era rassicurante. Gli occhi pieni di lucidità, ma apparente e non dimostrabile.
– Ti dico solo di tenere gli occhi aperti, Lucia. Io resto accanto a te.
– No, basta! Sai che c’è? Voglio tornare! Domani non incontrerò nessuno! Torno al paese! Torno a casa mia! – si destò alla ricerca dell’uomo grigio, ma non lo trovò. Una terribile scossa la fece barcollare all’indietro e per poco non si rivoltò in terra dallo sgabello. Vittorio riuscì a trattenerla prima che potesse crollare.
– Ehi! Scusami, ti ho spaventata! Guardami! Guardami!
Le picchiò leggermente sulla guancia. Lo sguardo di Lucia tornò presente e vigile. Vittorio continuò a parlare contraendo il viso in un’espressione di turbamento.
– La verità è che ho mentito. Ho paura quanto te. Ho paura della vita da adulto, di questa maledetta città e di queste persone! – trasse un respiro profondo.
Lucia, ancora confusa, tentò di ascoltare.
– Sì, ho paura e questo mi fa dubitare di ogni cosa. Ormai dormo pochissimo di notte. Vedo cose fuori dal comune in questa città e il fatto che tu ti sia presentata dal giorno all’altro raccontandomi di tuo padre e di questo bar mi ha messo ancora più in allerta! – aggiunse rapidamente Vittorio, ma gli mancò il fiato per concludere.
– Ma sai di cosa ho più paura, Lucia?
– Di cosa?
– Di me stesso…del mio carattere, della mia irascibilità incontrollabile che mi annebbia, che mi confonde e non mi permette di rimanere lucido davanti a questi strani fenomeni.
– Se hai così paura, perché non vai via? Il lavoro non è tutto in questa brutta vita!
– Perché voglio conoscere. Sapere tutto. Capire cosa c’è dietro questa città!
– Tu hai bisogno di aiuto, Vittorio! – disse Lucia tra i respiri affannati.
Il ragazzo annuì quasi vergognandosi.
– Dobbiamo andare a casa! – disse Lucia e si alzò, ma sentì il suo polso afferrato da una presa ben salda e sicura.
– Hai ragione io ho bisogno di aiuto, ma non sono come tuo padre. Non crederlo mai, ti prego!
Lucia, in risposta alla preghiera dell’amico, scavò dentro sé alla ricerca di una prova che le desse modo di accorgersi di avere terrore per l’allarmismo infondato di Vittorio, ma alla fine si accorse che non era così affatto. Non avrebbe mai creduto, in nome del rapporto eterno che i due esternavano da sempre, che quel ragazzo potesse mai procurarle il male che suo padre le aveva inferto. Le ritornarono in mente i giorni in cui si diedero l’addio una volta terminate le superiori. Al tempo, infatti, Lucia e Vittorio esistevano insieme come una stabile coppia di adolescenti insicuri, ma maturi per l’età innocente che avevano attraversato insieme dal principio. Lucia sarebbe rimasta a badare alla madre per poi trovare impiego nella pubblica amministrazione. Vittorio avrebbe inseguito in città la carriera forense. Assurdo anche solo aver pensato per un momento ad accostare Vittorio a suo padre, ma la cosa più inspiegabile era vedersi lui, simbolo del miscuglio grottesco tra la voglia di razionalità più incisiva e una natura ribelle che lo martoriava, tanto vacillare dinanzi a paranoie nate dal nulla e illogiche.
– Non lo credo.
– Dammi la possibilità di mostrarti che non sono impazzito, Lucia.
– Come?
– Resta.
– Perché?
– C’è qualcosa in questo locale. Accadrà qualcosa.
– Non accadrà un bel niente!
– Restiamo insieme. Solo questa volta. Domani vai via illesa, promesso. Fanculo tuo padre! – si fermò.
– Dillo!
– Cosa?
– Fanculo mio padre?
– Tuo padre? Perché?
– No, tuo padre! – E i due risero facendosi forza a vicenda.
Ecco che l’ultimo granulo di terrore infondato in Lucia si dissolse quando dal bagno in lontananza emerse la figura dell’uomo stempiato che si ridiresse dal suo gruppo di maschere rigide e tutte dannatamente uguali. Lucia arrivò alla brutta conclusione che se fosse rimasta al bar Rebbia le paranoie di Vittorio si sarebbero a lei trasmesse in malo modo, soffocandola atrocemente, ma la sua curiosità nel comprendere il nuovo modo di essere di Vittorio era tanto diffusa in lei che si convinse a restare. Scettica ed attenta, ora, ad ogni movimento del locale ambiguo, si prefisse l’intento di sradicare la convinzione di complotto che il ragazzo aveva fatto nascere nella sua mente vacillante. Una mente, evidentemente, sottoposta al troppo peso delle nuove responsabilità da adulto che Vittorio, Lucia credeva, non aveva imparato a gestire. Erano cresciuti. Questa era la verità. Lucia lo avrebbe aiutato a superare questo nuovo ostacolo. Eppure, le buone intenzioni tutte crollarono quando un’acuta e fastidiosa voce femminile risuonò alle sue spalle. Lucia si voltò e vide Sara sorridente reggere in mano tre bicchieri di un liquido colorato seguita dalla donna formosa di poco prima.

(Tavern Scene or The Orgy è un’opera del 1735 dell’artista inglese William Hogarth, terzo quadro della serie A Rake’s Progress.)

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