7. All’esterno

– Come ti sembra questa notte?
– Fredda, molto fredda.
Sara gli offrì una sigaretta. Lucia non fumava da molto. Ricordò il tempo in cui le sottraeva al padre in momenti a lei ostili al fine di credere ancora in un domani decente e in una vita sopportabile. Riempire i polmoni di pesantezza e controbilanciare quella che aveva nell’intimo suo violato.
– No, grazie non fumo. – rispose Lucia. Si voltò all’indietro. C’era il vetro di colorate sfumature del criptico, di un gotico marchiato e poco azzeccato per tingere un locale del genere. Dagli interni, le luci s’erano come affievolite. Solo una piccola luminescenza d’immagini veniva proiettata, filtrata dagli specchi. Lucia tentava di guardare dentro al bar Rebbia per vedere cos’accadeva mentre Sara accendeva la sua sigaretta. Così tirò boccate del primo fumo che s’alzarono fuggendo. Il gelo delle stelle illuminava il buon coordinamento delle strade. La pulizia impeccabile e il lucido dei marciapiedi che parevano lastre di solido metallo cieco ed i palazzi alti, silenziosi, coi vetri puliti, senza macchia e senza abuso, come apparivano i perfetti abitanti del posto, almeno nell’apparenza, perché poi andavano rivelandosi dannosi, come l’uomo stempiato. Mai visto niente del genere.
– Cosa guardi? – chiese Sara.
C’erano solo loro due lì fuori. Una musica appiattita, smorzata dalle pareti insonorizzate, fuoriusciva poco del bar Rebbia e giungeva indecifrabile alle loro spalle.
– No, niente. Io…
La pioggia cadeva inclinandosi e si proiettava in basso spezzandosi in tanti piccoli fili di lucida ragnatela che però a terra defluivano nei vuoti tombini convergendo in un flusso d’acqua che roteava fino ad accorciare sempre più il raggio in prospettiva per poi crollare a picco con appena un cenno di rumore leggero; e poi i lampioni erano curvi, neri e sferzati. Le ombre proiettate direttamente da cristalli di un giallo intenso, soprammontati da una struttura piccola d’acciaio e materia solida, ma scura come il vuoto che Lucia pronunciava. Sara aveva il telefono in mano, l’ombrello e la sigaretta nell’altra, scriveva sullo schermo in modo assai cinico e nervoso. Il suo sguardo perso nel ticchettio del suo malevolo risvolto.
– Emh, Sara, chi stai…?
– Sì?
– Stai avvertendo Vittorio di raggiungerti qui fuori?
– Oh, sì, gli sto inviando un messaggio adesso.
Un altro silenzio d’imbarazzo. Si erano tutte e due coperte coi vestiti dell’inverno. Sara aveva rimesso i guanti, ma per scrivere al telefono ne aveva rimosso uno. Lucia cercò di scrutare, nuovamente, dentro al locale.
– Emh, Sara?!
– Sì?
– E Ioana?
– Ioana cosa, cara? – Sara le rivolse la beffa più ingannevole che si potesse mai esporre. Le labbra rosse e carnose che si bagnavano dell’acqua del cielo e gli occhi marchiati, illuminati del chiaro della luna in una città lucida, parlavano per lei.
– Dov’è?
– Oh, l’hai vista anche tu. Ha raggiunto un cliente.
– Un cliente?
– Sì, è riuscita a trovarne uno, finalmente. – le rispose con voce stridula e tornò a picchiettare al telefono in modo convulso.
– Okay…
Lucia non voleva certo restare là. Dov’era Vittorio? Erano fuori da un’eternità. Il gelo si annidava ora nei suoi strati più intimi. E l’uomo stempiato? Perché si era agitato così? Che cos’era successo lì dentro? E Ioana cosa c’entrava con lui? Si era avvicinata come se lo conoscesse.
– E le tue amiche?
– Chi?
– Le tre con cui parlavate al tavolo con Ioana
– Cercava clienti.
– Sì, ma…
– Quelle hanno rifiutato. Ci credi? Come si fa a rifiutare una donna del genere?
– Forse il prezzo…
– Cosa?
– Nulla.
Altro silenzio. Lucia guardò con più attenzione l’ombrello che Sara manteneva in mano. Le stesse venature e lo stesso colore rosso acceso. Era il suo ombrello quello. Lucia lo aveva lasciato all’ingresso quando era entrata con Vittorio al bar Rebbia. Probabilmente, Sara, nella distrazione che la tediava, ne aveva preso uno a caso, il primo che le fosse capitato a tiro. Non era un dettaglio importante. Non provava nulla; eppure, Lucia si sentì in trappola, come in uno stato di assurdo torpore ingiustificato, legata a catene di una macabra favola, in pressione sugli arti che non riusciva a muovere. Un gioco di legami, la notte e il silenzio, la pioggia e il lucido della città ferma. Tutto un quadro di folle pacatezza prima della caduta. Il disagio la colse in modo atroce.
– Senti, io rientro, Sara. Vado a cercare Vittorio. Qui si gela!
E dal fiato si originò tutta una nuvola di grigio fumo.
– Vittorio?
– Emh, sì…sembra che non arrivi. Magari si è scordato di noi!
La verità era che, scossa dall’intrigo evidenziato dall’amico, Lucia cercò, disperatamente, di imboccare una via secondaria e confondere i pensieri al fine di ignorare il tormento causato delle sue domande, del perché Sara avesse preso il suo stupido ombrello, o del perché si fosse avvicinata a lei domandandole di accompagnarla fuori per fumare.
– Arriverà.
– Vado comunque a dare un’occhiata.
– Ti ho detto che arriverà!
– Dai, ti aspettiamo dentro. Siamo al bancone.
– Oh, fanculo, Lucia, ma davvero?!
– Cosa?!
Sara era esplosa d’impatto battendo il tacco dello stivale in una pozzanghera davanti l’immensa porta dell’occulto bar.
– Perché cazzo sei venuta in questa città?
– Io…
– Lo so perché sei venuta in realtà. Vittorio me l’ha detto. Sei qui per tuo padre!
– Te l’ha detto?
– Sì, mi dice tutto, lo sai?
– Perché…
– ma come perché? Sai che non è più il tuo tipo? Sai che ora è il mio?
Lucia ingoiò l’amaro e tentò di esporsi con la massima calma dinanzi a quella che per lei era ancora una perfetta sconosciuta. Sara ripose il telefono in tasca e, con abilità, tornò a sbuffare il suo fumo.
– Andiamo, Sara, è passato tanto tempo.
– Lo so.
– Siamo adulte. Vogliamo scadere in scenate?
– Oh, Dio! Quanto sei patetica.
– ma…
– Un agnellino indifeso solo all’apparenza.
– Cosa dici?
– Ti senti la protagonista.
Lucia si pietrificò all’istante. Il sangue pulsò nel suo cervello a velocità incontrollata.
– Cosa stai dicendo, Sara?
– Perché non hai detto nulla?
– Ma di cosa parli?
– Di tuo padre. Di quello che hai visto. Perché non hai chiesto aiuto?
– Senti, non so perché Vittorio ti abbia detto queste cose…
– Perché è il mio ragazzo ora. Riesci a capirlo?
– ma non aveva nessun diritto di… – e Lucia fece per rientrare, ma una mano le trattenne il polso.
Avvertì il fuoco della stretta ardere la sua pelle.
– Qui non c’è da aver paura. Vittorio vuole aiutarti, ma tu te ne approfitti.
– Di cosa dovrei approfittarmi?
– Del loro aiuto.
– Non ho bisogno di aiuto!
– Allora perché coinvolgerli ancora?
– Non capisco, Sara, per favore. Mi fai male!
– Vittorio e Andrea sono qui in questa città da anni ormai.
– Lo so.
– Andrea era distrutto quando lo incontrai la prima volta.
– Così mi fai male, Sara!
– Dopo tutto quello che ha visto quel povero ragazzo, ha deciso di tornare vivere. Sai perché?
Lucia credette che Sara potesse ucciderla lì davanti all’ingresso quando il rosso di un odio feroce si manifestò in lei.
– Perché? – cercò di rispondere Lucia, ma gli affanni del dolore la bloccarono nell’espressione.
– Perché gli hai promesso che quel porco sarebbe marcito in galera!
Il cuore di Lucia passò dal battere all’unisono a quasi arrestarsi totalmente. Un dolore disumano la colpì allo stomaco come trafitta dalle più crudeli delle pubbliche umiliazioni.
– Lasciami!
Si dimenò dalla presa e infine fu libera dall’aggressività di lei.
– Perché mi hai portato fuori, Sara? Perché mi umili così?
– Per nessun motivo.
– È per essermi riavvicinata a Vittorio?
– No, ma devi sapere come stanno le cose.
Lucia sapeva che quelle di Sara fossero soltanto la manifestazione di una gelosia ossessiva.
– Andrea è andato avanti. Non ha completato gli studi. È venuto qui per dimenticare cosa tu gli hai fatto vedere… – insistente quella nelle accuse.
– Non è stata colpa mia!
Sara si rigirò e strinse i pugni in malo modo.
– E di chi sennò?
– Tu sei una psicopatica, cazzo!
– Stavi per tradirlo, Lucia. Stavi per tradire Vittorio col suo migliore amico!
– Eravamo dei bambini.
– Non lo siete stati più da quel giorno.
– Vittorio non era più con me. Era distante!
– Eri troppo fragile. Abusi, violenza…Vittorio ti guardava morire. Non lo sopportava. Morivi dinanzi a lui! Anche quando ti ha chiesto di reagire. Anche quando ti ha implorata di dire cos’era accaduto. Non sei mai stato in grado di rialzarti. Perché lo hai fatto rimanere con te? Cosa nascondi?
Lucia non seppe più controllarsi e crollò in lacrime cocenti. Crollò stavolta. Rimpianse per due volte di non esser andata via in tempo ed ora moriva sul serio. Appassiva ancora come quasi dieci anni fa.
– Hai pensato solo a te. A te soltanto! Alla bella immagine della pura giovane del paese? No, io non ci credo. Deve esserci dell’altro! – Sara continuò nel suo delirio.
Lucia proruppe in un urlo straziante. Sara non si smosse.
– Cazzo, ma ti rendi conto che era compito tuo? Serviva che denunciassi! Serviva a loro per andare avanti. A Vittorio per placarsi. Si sentiva un verme ad averti lasciata lì, in silenzio. Un debole di cui tu hai rifiutato l’aiuto. Vagheggiava. Voleva tornare in paese e uccidere quel porco per averti violentata!
Riprese fiato. Il respiro smorzato da un lamento basso, ma sfrenato.
– Serviva ad Andrea per dimenticare la scena impressa in lui ancora oggi. Capisci?! – concluse Sara.
– Perché? Perché ti ha detto tutto? – chiese Lucia con voce in angoscia insopportabile.
– Io mi fidavo di Vittorio… – aggiunse.
– Anche lui si fidava di te. Anche Andrea si fidava di te. La sola credenza di sapere quell’animale di tuo padre a scontare la sua pena gli ha dato la forza di proseguire. Ha cancellato quel vostro paese del cazzo dalla sua testa!
– ma Vittorio sapeva, sapeva che non lo avevo fatto, sapeva che mio padre era ancora in casa mia dopo quel giorno. Perché non gliel’ha detto?
– Certo che lo sapeva. Lo ha sempre saputo. Ha continuato a mentire ad Andrea per tutti questi anni. Mai una sola parola di te, mai una sola parola di tuo padre. Andrea non chiedeva e Vittorio non rispondeva. Eri fuori da tutto! Eri fuori da questa città ed era perfetto così!
Sara si placò per un attimo. Il mascara era crollato a picco dalle sue orbite poggiandosi alle guance ossute plasmando tutto un volto dell’odio che sentiva. Una violenza tale nelle sillabe che queste nascosero il superficiale della sua psiche per mutarla in una spietata Ninfa che si fa casa in un lago di sangue. Lucia non riusciva a contenersi e si poggiò in terra umiliata e marchiata per sempre.
– Credi di essere la vittima qui? Credi di essere quella in buona fede, Lucia? Le tue scelte hanno distrutto vite e plasmato altre nelle illusioni. Uno stupro, cazzo! E quel ragazzo legato da quel pazzo in una cantina costretto a vedere l’incesto. Cristo, perché? Perché non hai fatto nulla?
– L’ho fatto! – esclamò in tumulto Lucia rannicchiata sul suolo bagnato. I capelli d’oro fradici di gocce di malessere e pena.
– Dopo quanto? Dopo l’ennesimo abuso? Hai continuato a subire? Avrebbero potuto aiutarti! Tutti ti avrebbero aiutata e, invece, hai fatto di testa tua. Nessuno sa perché lo hai fatto o cosa ti abbia spinta a rinunciare a denunciare tutto. Tutti se lo domandando. Vittorio se lo domanda da anni. Andrea se lo domanda da anni. Stanno morendo per questo! – concluse Sara che nel mentre si prese i capelli tra le mani e, quasi come a volerseli strappare uno ad uno, esplose in un urlo da selvatica belva, vittima dei suoi istinti. La pioggia di fredde perle si intensificò.
– Vittorio è completamente impazzito… – ripreso poi in tono più pacato.
– Che?
– Tutto era finito lì. Di te che non volevi nessuno di fianco se n’era fatta una ragione, ma quando cazzo…quando hai chiamato per dire che tornavi, che tuo padre era venuto in città libero, la stessa città in cui si erano stabiliti e che lo avresti rincontrato, Vittorio si è completamente fottuto il cervello!
– Cosa vuol dire?
– Ti ha amato, ma odiava la tua stupida debolezza e voleva salvarti. Non ci è riuscito. Se n’è andato. Ha trovato me. Lo hai dimenticato e lui ti aveva dimenticata, almeno fino a questa notte. – Sara crollò in uno sproloquio di parole sconnesse.
– Aveva giurato che non avrebbe confessato ad anima viva il mio segreto. È stato lui a non ascoltarmi.
– Lui? Che è restato al tuo fianco? Disposto ad aiutarti anche dopo averlo quasi pugnalato alle spalle? E col suo migliore amico? Era lui a non averti ascoltato, cazzo?
– Io…io…
– Ora Vittorio vede questa città come l’inferno in terra. Ogni stronzata è un attentato alla sua persona. Non dorme. Non mangia. Non mi parla. Anche prima, quando sono entrata e l’ho trovato con quell’uomo, ha continuato ad ignorarmi. È distratto! Vede ovunque la sua fine. Perché non lo hai denunciato?!
– Io…io non lo so.
– Perché vuoi rincontrarlo?
Sara si chinò in terra come una furia lasciando il suo ombrello rosso e ponendo le unghie affilate sulle spalle di Lucia.
– Ascoltami, tu ci stai uccidendo tutti, Lucia! Sei perversa. Devi andartene.
– ma…voi. Quell’uomo, tu…Siete voi a farlo impazzire. Cosa volete?
Lucia non era più distinguibile nelle fattezze dalla tristezza immonda che le attanagliava viso e corpo. Le pupille di Sara si dilatarono come quelli di un felino ostile schizzando in ogni direzione, manifestavano un segno indelebile di incredulità e malanno.
– Noi? L’uomo? Dio mio! È Vittorio che ti ha messo in testa questa roba, vero? Continua a farlo ancora?!
Le due erano chinate in terra in atto di una battaglia infima. La tempesta in atto scuoteva i lampioni, ma quelli rimanevano saldi ed ancorati al terreno. Lucia non aveva più fiato in corpo. Non rispose. Era sfinita.
– Vittorio non era così prima. Lui mi guardava. Mi toccava. Mi sentiva; ed ora che ci sei tu, che sei tornata a prendertelo… – strepitò Sara.
Ci fu quiete ancora. Il vento ululava in lontananza e le luci del locale, finalmente, si riaccesero, terminando il periodo del blu sgargiante e ritornando al lume del caldo e del famigliare. Lucia rimaneva incredula dalla situazione appena vissuta.
– Vittorio ti ha complessato con le sue cazzo di assurdità, vero?! – continuò a insistere Sara.
Lucia non emise neanche un suono. Sara si alzò. Si risistemò la gonna inzuppata per quanto possibile e, toccandosi in volto, rimase col nero del colore del mascara spalmato sulle dita.
– Non avrei dovuto portarti fuori e fare questa scenata. Questo rovina i piani, ma tu Lucia…Io non le sopporto le maschere. Non le sopporto le finte facce d’Angelo! – accusò digrignando i denti.
– Andiamo a chiarire questa storia del cazzo e finiamo qua questo spettacolo! – concluse Sara e spalancò l’anta della grande porta addobbata del bar Rebbia. La musica era tornata ad essere un sottofondo lontano e il giallo caldo del posto illuminò il porticato, per poi far sì che la giovane, ondeggiando rabbiosamente, sparisse all’interno. Lucia pensò a lungo restando lì fuori. Poteva chiamare un taxi e andare via, ma sentiva di essersi spinta troppo in là. Col braccio si asciugò le lacrime e si pose in piedi. Barcollò per un istante. Cercò di proiettare il suo volto tumefatto al vetro del mosaico di Bar Rebbia, ma i tinti cristalli storpiavano i suoi lineamenti.
– No, io…
Si fermo. Osservò la strada allagata. Poteva tornare a casa. Perché non farlo? Perché non fuggire da quel delirio? La realtà è che Lucia si sentì vittima d’una vita che pativa averle tolto tutto anche semplicemente il coraggio di opporsi a lei. Una vita che perseguiva nel suo macabro disegno di distruggerla dalle viscere del suo essere tanto indietro, lenta e dannatamente fragile. Una vita che le aveva affidato quelle sue passioni da custodire per qualche motivo.
– Basta! – disse rivolgendosi ad un lampione curvo. Decise di rientrare. In quell’attimo esatto, però, attraverso il vetro del mosaico, dall’interno del bar Rebbia, ecco che due bianche iridi si affacciarono al viola di due pezzi di cristallo incastonati. Occhi di contorno per un’espressione di timore incontrollato videro Lucia varcare ancora l’ingresso del bar Rebbia per rientrarci. L’ombrello rosso di lei era rimasto in strada. La tempesta lo portò via e quegli occhi bianchi e fissi lo videro sparire inghiottito dalla notte.

Chop Suey (1929) is an oil painting on canvas by the American artist Edward Hopper

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