Al principe di Machiavelli, la violenza d’esistere. In un mondo d’inferno occorre potere ai dannati. Perversioni, ricchezza e difesa. Condanna al sentirsi degni uomini.

“Ma c’è una tale differenza tra come si vive e come si dovrebbe vivere, che colui il quale trascura ciò che al mondo si fa, per occuparsi invece di quel che si dovrebbe fare, apprende l’arte di andare in rovina, più che quella di salvarsi. 

(dal Principe, cap. 15)

PREMESSA

*Il testo non vuole comporre un’analisi universale della filosofia machiavelliana. Non m’arreco in nessun modo l’arroganza di averne compreso ogni grandezza, data ancora l’incompleta uniformità d’opinione accademica a proposito del manoscritto redatto in fiorentino del 1514. I tre paragrafi al seguito s’impongono nel tentare di dar chiave in minima lettura del Machiavelli per non cadere nell’errore di condannare De principatibus quale trattato Totalitario e Tirannico, dimostrando quanto in esso alberga, unica, una delle più pure forme d’analisi vera della crudeltà d’esistere, che ne evidenzia senza giudizio alcuno le perversioni. Il Testo seguente verte alla condanna violenta e alla satira spietata al fine di porre in luce ogni ipocrisia d’uomo che nel dichiararsi giusto, superiore nella sua etica condotta, trascura il reale sadico in cui sopravvive, non accorgendosi d’imposizioni a lui obbligate e ancora in discussione per disegno d’una società libera, in rispetto del prossimo e in piena tolleranza d’ogni diritto. Liberi finché non si nuoce al prossimo né alla comunità. Il Tema è trattato in forma d’accusa molesta ad ogni uomo resosi autonomamente esempio di grazia, ad odio del Principe e del governo, che nel farlo trascura la sua natura d’accumulo perverso e s’illude in un mondo senza eserciti ed in pace. 

*Ogni citazione del manoscritto di Machiavelli è riportata in italiano contemporaneo ed è ripresa dal testo “Il principe. Testo originale e versione in italiano contemporaneo redatto da Mondadori a cura di Piero Melograni.


La difesa degli innocenti passa, ad oggi come allora, su pratiche immorali per canoni generali, resi scontati, di decenza.
Non esiste un governo generoso e tollerante, dato che il senso di tolleranza umano varia a seconda delle ere e delle comunità che la applicano. Sarebbe insensato inseguire la volatile corrente emotiva. Esiste però il governo efficiente, capace di garantire libertà e diritti essenziali ai suoi cittadini, di dare a loro giusti standard di vita e concrete opportunità di crescita. 

LE PERVERSIONI D’UOMINI, IL FRENO

Sulla concretezza del riflettere machiavelliano non ci si approccia certo ad un chiaro invito all’oppressione dei popoli, alle invasioni per terra e mare, ai massacri d’intere generazioni d’incolpevoli, al terrore dei dannati delle povere stirpi costrette a sottostare alla Tirannia, alla morte priva d’ogni affetto e significato per tante di quei corpi caduti, reietti di battaglie non logiche, non loro, condotte in nome di regni disfatti prima, riassemblati poi, martoriati ancora, glorificati nel mentre; eppure, molte interpretazione erronee accusano il manuale d’essere una guida Tiranna, denunciandone la brutalità delle cose dette e confidate. Tipica visione disegnata quando ci si appresta alla lettura con occhi d’ideologia singola ed anima incatenata a caste di credo cieche, intolleranti; perché queste, nelle righe del complesso racconto politico, la sole cose che captano indigeste sono disprezzo ed odio per ogni forma di popolo reputato avverso all’unità d’amministrazione. No, ciò non compete al principe, che se macchiato di sadismo, non domina nel giusto, perché proprio il popolo coordinato col sangue e non coi principi, con la forzatura di restrizioni e non col buon esempio, con la propaganda disinformata e non con il credito della giusta storiografia e dei giusti fatti, dà valore alla rivoluzione che l’amministrazione non ha potere di debellare. L’approccio va protratto con pronto spirito al dialogo. Non serve fantasticare sul nemico ed accusare l’idea. Chi ha bisogno di un nemico, nel principe lo troverà per certo. Chi non sente la necessità d’un contrario, nel principe troverà potenziale e giusta analisi. Il machiavellismo non celebra la fede al demoniaco dell’uomo e alla sua sete di simile sangue, o all’immenso piacere sentito in ogni violenza protratta al debole; al contrario, ricerca un modo serio di frenare gli impulsi d’uomo volti alla ferocia sua; perché, per quanto si desideri credere nella benevolenza d’ognuno, per quanto l’etica propria sia radicata unicamente in qualche singolo elemento sparso, per quanto, certo, esistano esseri alla terra più volti alla clemenza; la media ponderata di questo addensato d’umanità bestiale brama agio e combatte le sue battaglie su idee reputate valide per sé stessa a protezione dei suoi soli subdoli interessi. Per questo, la natura dell’uomo va domanda per equilibrio del sociale. La perversione sua va difesa in quanto unicità, ma abbattuta e punita se questa corrompe il prossimo o patteggia col nemico in minaccia. Tutti atti per evolvere la comunità a qualcosa di migliore, etico nei suoi limiti d’aggregato comunque di individui d’accumulo, violenti e sadici, ma che nell’insieme devono necessariamente addensarsi in armonia per convivere adeguatamente.

È cosa veramente molto naturale et ordinaria desiderare di acquistare; e sempre, quando li uomini lo fanno che possano, saranno laudati, o non biasimati; ma, quando non possono, e vogliono farlo in ogni modo, qui è l’errore et il biasimo.

(Dal principe, Cap.3)

Voglio però insistere sul freno d’impulso d’uomo, penso possa essere un punto importante. Nonostante il principe machiavelliano lotti per salvaguardia dei suoi interessi, è possibile percepire tra le righe un senso di patria plurima e d’uno spirito che soffre quando questa si disgrega e s’addolora per mancanza d’unione delle sue parti, che cadono per la Tirannia straniera.  
Un ingegno acuto come quello del Machiavelli necessita, obbligatoriamente, d’analisi conscia e imparziale dell’umana vita e respiro che al tempo s’è fatto inadeguato anche solo per dire d’accorgersi della propria malata insignificanza; pezzo di carne sacrificabile in un gioco di potere senza fine e soprattutto totalmente privo d’ogni scrupolo morale, o meglio che la morale non è d’oggi, perché, appunto, per ribadire, essa muta nelle ere, e si deve, obbligatoriamente, trascendere dal proprio presente per immergersi in una storia di tumulti passati, visti, soprattutto, modernamente, da occidentali in pace e col benessere nelle proprie mani, a cui risulterà difficile immergersi nella violenza di quel 1514.

Occidentali moderni che non s’accorgono e trascurato la ferocia ai confini, troppo confusi dei loro agi che credono che questi gli siano per sempre dovuti. Questo va compreso. 

L’analisi machiavelliana non può permettersi alcuna trascuratezza d’ogni dettaglio di quell’epoca sanguinaria e cruenta e lo fa adottando lo stesso metodo, descrivendo ogni assurda carneficina e definendo un modo, forse personale, d’evitare il crollo del proprio governo che si espande in un reale infernale. Il machiavellismo non è affatto interessato a parlare d’un mondo buono, d’un buon comando per ottenere consenso, perché tale non è il fine suo guadagnarsi credibilità della massa dominata, né desidera accontentarla, dirle che v’è salvezza per loro, al modo delle casate ecclesiastiche; non desidera indottrinare, convincere il popolo, ma riflettere sulla debole sua patria, divisa e devastata. 
Questo è tutto.
Se poi ad un autore cinquecentesco di uno spirito non remissivo, deluso dall’andamento italico, dalle cavalcate impunite di Carlo XIII, ci si aggiunge un cuore in voglia di riacquisire vecchio prestigio perduto agli occhi dell’antica corte Medicea da poco rientrata a Firenze dopo l’esilio del 1494, si otterrà il macabro d’un disegno realistico del male d’essere in terra, enfatizzato da comunità in balia di moti imprevedibili e di confini nazionali giacenti impotenti dinanzi alle avanzate d’imperi sanguinari.
Illudersi del buonismo indimostrato della pluralità ed abbracciare l’idea che ogni parte va ad incastrarsi al modo del giusto perché questo è il naturale ordine in cui s’esegue partecipazione alla vita, è illogico.

Si parte dalla convinzione dimostrata dell’umana natura d’accumulo serrato. Se si vuol discutere di un giusto governo e di un giusto principe, questo, non può ignorare l’umanità degli spiriti che essi vanno a governare, cioè carne di vizio e interessi puramente, o per la maggiore, materiali, tastabili, semplici sesso, denaro, possedimenti e potere, e questi, per il machiavellismo, del popolo vanno controllati, adottati in difesa dello Stato, che non si fonda su concetti in dogma, magari di benevolenza, divina sottomissione, salvezza in morte, almeno che non sia uno stato ecclesiastico e questi il Machiavelli li affronta in diverso modo, anche se di certo, anche in quelli v’è il “brutto” materialismo. Il senso di scandalo è palesato in quotidianità nostre che sembrano, sol fattualmente, non turbate dai demoni del 500’ italico, anche se questi si son solo modificati nel tempo, come il pudore della massa, sensibile ora ad altro e in differenti modi s’aziona.
Da quegli imperi distruttivi gli occidentali derivano tutti, spesso ne ignorano la storia e il crudele d’ogni accadimento, ciò corrompe poi la capacità, dei più, di definire una degna difesa ai propri valori quando calpestati.

“Quando gli Stati conquistati sono abituati a vivere liberi e secondo le loro leggi, ci sono tre modi di tenerli: il primo è quello di distruggerli totalmente; il secondo è quello di andarci a risiedere personalmente; il terzo è di lasciarli vivere secondo le loro leggi, prelevando un tributo e creando all’interno di essi un governo oligarchico che te li conservi amici. Questo governo, essendo stato creato dal principe, sa infatti di non poter sopravvivere senza la forza e l’amicizia del principe, e deve far di tutto per proteggerlo. Se non si vuol distruggere una città abituata a vivere libera, la si governa più facilmente per mezzo dei suoi cittadini, che in qualsiasi altro modo.”

(dal principe, cap. 5)

L’uomo predisposto alla frode non perderà tempo, se a lui è concesso, di proseguire nei suoi capricci. Senza una degna opposizione a tutto ciò, che prima era degli eserciti armati, ora di quelli ci si adopera per salvaguardia e non per invasione, mentre la ricchezza di materia sancisce il modello più esatto, più equo e si discute sui suoi modi, migliorandoli progressivamente, si muore. Dialogo per frenare gli impulsi e i conflitti.

Il vero dei popoli è che domandano una guida, lo fanno da sempre. La struttura delle radici degli imperi cambiano, mutano come ogni aspetto, ma rimangono sviluppo per la tutela dell’integrità sua e queste oggi son della giustizia egualitaria, dal Beccaria al modello dell’uguaglianza. Il senso del singolo governo s’espande nel tempo, dialoga, si completa con la rigenerazione e la distruzione di modi, di temi, d’errori di gestione. 
Siamo lontani dal definire come esattamente il governo debba imporsi. 
Il Principe è l’anello d’analisi che se svolta sul carattere tematico, porta a risultati sconvolgenti e mostra quanto nonostante modifica d’ogni costume e intreccio cognitivo, nel tempo, l’uomo rimane tale perché vive, e nel farlo si prostra al confronto coi propri simili con i quali condivide respiro e principi di fondo macabri, violenti; che poi questi, se integrati con l’ingegno e con la parsimonia, vanno ad essere controllati, non scompaiono, o almeno non possono estinguersi in ogni singolo cuore; al massimo, sono incanalati da un’etica propria sviluppata col vissuto reso libero. Al tempo dei Medici l’ispirazione era dell’armi. Ora, il modello, per quanto debba presagire la difesa in caso d’assalto ed invasione, ha necessità del degno esempio e della buona convivenza civica tra popoli divisi da culture che però cercano, nel guadagno, una coesione. 
Sì, nella ricchezza sporca, immorale, v’è il disegno della morale. 
Perché se vi sono impulsi d’uomo da limitare per la convivenza, ce ne sono altri che vanno adoperati per crescita, assecondati per parsimonia.

Gli uomini non operano mai nulla di bene se per necessità

(dal Principe, cap. 23)

IL SELVAGGIO ACCUMULO UMANO VA FOMENTATO PER BENE DELLA COMUNITÁ

Dal presupposto di preservare la fiducia d’ogni cittadino, il principe non ne intacca la ricchezza, l’alimenta, alla consapevolezza immorale dell’essere certi che l’innovazione di pensiero e dei mezzi sta nella necessità d’ognuno d’avere certezza, d’avere garantito un domani. E come si garantisce una crescita ad un essere che persevera il guadagno? Garantendolo dal mercato. L’inventiva senza risorse non produce e il prodotto è innovazione se fomentata è la domanda del benessere, che a dirla così, immessa in ogni anima, non ha certo necessità di essere ulteriormente invogliata, ma va assicurata. Pur quanto ipocriti, gli esseri perpetuano nell’eterna ricerca d’un posto in società e questa il Principe va garantendola, non perché parsimonioso o in atto di compassione verso i suoi governati, ma perché così facendo s’assicura fedeltà ai suoi ranghi e consolida l’unione che per quanto possa basarsi su ogni singola ideale saldo, se a mancare è il pane, la rivoluzione è resa inevitabile, oltre che incerta, instabile ed indomabile. Allora la crudeltà sta forse nella definizione della società del principe. Egli si macchia d’ogni atrocità con la scusa d’essere obbligato ad adottare violenza per sopravvivere, ma maschera, in realtà, le sue reali intenzioni di plurimo potere, da sottomesso a carnefice? E che sia pur vero. Inutile credere nell’illusione della benevolenza al potere, il quale amministra la delusione d’essere uomini alla terra e che quindi, per adempiere al suo scopo, è chiaro che debba obbligatoriamente corrompersi nel mentre; forse, è il Machiavelli stesso il primo a non desiderare d’arrivare a tanto, ma il fine è pragmatico, di gelida stesura, guida al governo, non alla buona condotta. Un principe al vertice è uomo come i suoi sudditi e tale che egli fa anche i suoi interessi, ma che questi debbano coincidere con quelli del popolo per far sì che il regno prosperi e non tema l’invasore straniera, che fu delle armi del principe a quel tempo mentre oggi è della propaganda mediatica.

“L’amore è infatti sorretto da un vincolo di riconoscenza che gli uomini, essendo malvagi, possono spezzare ogniqualvolta faccia loro comodo. Il timore, invece, è sorretto dalla paura di essere punito, che non ti abbandona mai.”

(Dal principe, cap. 17)

E abusare non ha merito, ma se il nemico affronta un regno instabile, penetra in esso facilmente. La ricchezza del principe è star in solo a contenersi la terra, trucidando ogni avversario di impossibile conversione e poi amministrando. La ricchezza del popolo sta nel governo parsimonioso, tollerante del suo sovrano, il quale ha desiderio di preservare la sua influenza e di conseguenza adotta famiglie che altrimenti non avrebbero mezzi per tutelarsi in loro vece. La paura di perdere ciò che si è accumulato motiva gli uomini nel difenderlo. Il motore dell’azione è il timore più tetro.
Lo scandalo del totalitarismo cattura facilmente l’impressione del lettore del De Principatibus.
L’analisi non condanna, però, come degradata la natura umana, anzi, la venera come tema d’ispirazione e studio concreto per certo incanalarla in un governo d’efficienza, che sopravvive nell’instabilità degli imperi rinascimentali che vanno insanguinando l’Europa intera. 

Cadere al basso dei conquistatori e alla brama di violenta ricchezza che risultati porta in concreto?
Porta l’errore, ma è tentativo, forse vano, di delineare un’Italia con un senso, con difesa, con ricchezza e prosperità. Tra oppressore ed oppresso la penisola del Machiavelli attende un principe in grado di portare il regno in elementi della prima categoria, compiere grandi imprese e gettare solide basi per un’unità salda; per farlo non trascura gli interessi umani, ma li adopera al fine di sostenere il proprio disegno d’impero, tenta tutti di convergergli nello sporco della polvere della materiale predisposizione, ma necessaria per costruire una seria difesa, tralasciando l’aspetto bellico, fondante espressamente sulla voglia che hanno i cittadini d’un regno di combattere per la loro patria. Desiderio che nasce e s’alimenta in loro se questi dal loro buon governo che sia del Principe e o delle Repubbliche non rimangono trascurati. 
Trascurare un uomo è trascurare i suoi interessi, il resto è illudersi.

Il concetto d’accumulo, però, è visto agli occhi delle ere e dei popoli in modo non certo uniforme. Per certi, in un certo tempo, è male, morte, per altri è unica fonte di vita sostanziale. L’equilibrio sta nel mezzo, ma screditare, a propri, la voglia di lusso del singolo, ignorarne l’esistenza, è atto illogico. Non certo ha senso e scredita la stessa natura dell’uomo. Agli individui non basta certo un senso d’appartenenza ad un regno di cui condivide gli usi per rimanere in sostengo del principe al comando che non sa difendersi, che non permette la prosperità della media dei suoi adepti. Ecco che quel che tiene uniti è proprio il vero e sporco guadagno orrido. 
Al nesso del non guadagno corrisponde l’abbandono del regno e la perdita del potere.

Ora se il concetto di guadagno è marcio nei suoi interni se ne può discutere e mai si riuscirà a trovare accordo per non convergenza univoca delle visioni.

Il mondo d’inferno è terra d’opportunismo ed opportunità. Relegare il credo del condannare l’impulso d’uomo di guadagnare è rovina. Lo si è visto in trasformazione della sovranità territoriale ed imperiale degli eserciti a quella commerciale, che da sempre, comunque, di voglia di prevalenza sull’altro va trattandosi, ma questa oggi è rilegata al commercio.

“Da ciò nasce un problema: se sia meglio essere amati piuttosto che temuti, o se sia meglio esser temuti piuttosto che amati. La risposta è che si vorrebbe essere l’una e l’altra cosa, ma poiché è difficile mettere insieme le due cose, risulta molto più sicuro, dovendo scegliere, esser temuti piuttosto che amati.”

(dal Principe, cap. 17)

Temuti per possesso, inattaccabili per violenza, ed amati per degno esempio e tolleranza. 
Il principe è l’Europa nella sua massima espressione di tentata unione concreta, che non s’inganna sul buonismo del moderno, ma si interroga concretamente sull’umana natura e come meglio amministrarla per sancire migliori prospettive d’esistenza per ogni individuo. 
Non c’è altro a cui pensare. 
Il machiavellismo è, essenzialmente, ricerca d’utilità, produzione rinascimentale, i quali prodotti furono imperi, e, come quelli ad oggi immessi nel libero mercato, si confrontano inevitabilmente sancendo il migliore tra loro. 
L’accumulo umano è perverso, ma inutile andargli contro, va incanalato e amministrato da un governo nobile. 

DIFESA VIOLENTA

“ Dovete dunque sapere come ci siano due modi di combattere: l’uno, con le leggi; l’altro, con la forza. Il primo modo appartiene all’uomo, il secondo alle bestie. Ma poiché molte volte il primo modo non basta, conviene ricorrere al secondo”

(dal Principe, cap. 18)

La guerra non è solo delle armi, ed è costante in ogni piccolo aspetto dell’esistere.
Se la Diplomazia fallisce ed ogni altro tentativo d’arrestare la guerra è vano, se a quel punto non si dispone d’un addestrato esercito, il Governo e la Libertà del popolo sono perduti per sempre.
La Diplomazia, il contrattare nella sua forma più pura, ha limiti se ci si appresta a dialogare alla pari con un impero d’armi che non vuol certo sapere d’avere cuore per la propria gente né per le altrui stirpi; allora, ed è per questo motivo (che l’umano interesse d’accumulo sia ancora ben distante dall’essere debellato) che un regno in suo rispetto e in voglia di credibilità, debba, obbligatoriamente, prepararsi con milizia alla sua difesa in caso d’assalto e dubitare d’ogni buona intenzione protratta, perché l’essere ambizioso è volto all’inganno, che non è certo ignobile strumento e adoperato alla meglio, il principe machiavelliano può aver riscontro positivo nel mantenimento della pace. 

“Un signore prudente, pertanto, non può né deve rispettare la parola data se tale rispetto lo danneggia e se sono venute meno le ragioni che lo indussero a promettere. Se gli uomini fossero tutti buoni, questa regola non sarebbe buona”

(dal Principe, cap. 18)

Non può essere mantenuto governo se questo ignora l’umana natura in espansione del proprio accumulo. Come si può a loro e allo Stato loro garantire un futuro prospero se neanche ci si rende conto della materia con cui è composta la sola comunità nei suoi pezzi?

Il Principe machiavelliano, ancora, ripudia le folle mercenarie in favore d’un esercito cittadino a lui fedele e che persevera nell’interesse di difendere la propria casa. Ad oggi mutato è il concetto d’identità, ma ancora esso è indispensabile per il senso di patria e Terra, di preservo dell’amata nostra diversità di popoli e modi di fare, pensare ed essere. 
Accogliere il diverso per trasformare l’unità.
Ed ecco che la difesa dell’innocenza d’un regno va fatta, come ultimo impiego, come ultima scelta, sulla non innocenza delle armi. Credere ciecamente nella sempre riuscita nell’abile diplomazia è trascurare le variabili di spirito malato racchiusi in corpi di smorti Tiranni. La fortuna è centrale nell’adoperare difesa degna. Se non possibile è prevedere il danno della guerra, ogni preparazione va compiuta e diversificata, adattandola ad ogni tipo di possibile attacco oltre confine che è possibile subire.

“Pertanto i prìncipi italiani che, dopo essere stati a lungo sul trono, lo hanno poi perso, non accusino la fortuna, ma la loro inettitudine: non avendo mai, nei tempi tranquilli, pensato che il clima può mutare (è un difetto diffuso fra gli uomini quello di non prevedere la tempesta finché c’è il bel tempo), quando poi arrivarono le avversità, pensarono a fuggire e non a difendersi; e sperarono che i popoli, irritati dalla tracotanza dei vincitori, li richiamassero”

(dal Principe, cap. 7)

A tal proposito inerente alla difesa della massa e della cultura sua, c’è anche da tentare d’anticipare i tempi. Nell’ultimo capitolo del Principe, in particolare, il soggetto è la casualità d’una vita che mai si pronuncia prima di agire e non avverte i propri martiri. È la fortuna, la forza casuale con cui accadono certi eventi, che diventa però, erroneamente, capo espiratorio per autoconvincersi delle proprie non colpe in amministrazione, invece di condannarsi per inettitudine e mal gestione dello Stato. Se il problema continua ad essere ignorato nella sua interezza, o addirittura ne viene sì negata l’esistenza, continua egli ad espandersi ed autorigenerarsi in proprio, rafforzandosi alle basi, a quel punto egli, in evidenza, non potrà essere più ignorato, ma più forte ed accresciuto, la battaglia sarà ostica, e il risultato imprevedibile.

Questi temi, se si è prestato attenzione, ci si accorge che tutti nascono dalla ricchezza divenuta scontata.
 
Il benessere incontrollato genera non bisogno e il non bisogno genera trascuratezza d’ogni buon provvedimento preso al fine di proteggersi da un prossimo assalto in venuta. 

“Un principe non deve dunque avere altro obiettivo, né altro pensiero, né altro fondamentale dovere, se non quello di prepararsi alla guerra. Questo è l’unico compito che si addica veramente a chi comanda. Ed è un compito capace non solo di mantenere al potere coloro che sono nati prìncipi, ma anche di far salire al potere tanti privati cittadini. D’altronde sappiamo che i prìncipi, quando hanno pensato più alle raffinatezze che alle armi, hanno perso lo Stato da essi posseduto. Perderai lo Stato soprattutto se trascurerai le arti militari. Lo conquisterai se di esse diventerai esperto.”

(dal Principe, cap. 14)

Il concetto stesso di conflitto, allargato a quelle della moltitudine d’armi adoperate dall’uomo fino dall’alba del suo esordio alla vita, è comunque mutabile, tiene conto d’ogni era e corrente di pensiero in voga, ma al fondo, dal machiavellismo alla nostra globalizzazione, sta il principio di non illusione, il principio di credere ancora di essere marci, dirsi uniti e fronteggiare minacce che se mutano nei mezzi, non lo fanno nel desiderio feroce di conquista. Variabili tutte impossibili da tralasciare per un degno governo, lo si comprende al vertice, lo si comprende al basso della gerarchia e ancora non s’è visto regno influente privo d’esercito. 
 
Amministrare popoli di non eletti, non speciali che tal si credono nella loro beatitudine, moralità fatta carne, rende complicato il seguito d’un regno che si sforza sia di non soccombere sia d’essere degno esempio d’agire e pensare. 
Un popolo di non amati ama difficilmente il proprio governo. 
Un popolo non amato dal proprio governo da esso fugge.
Demografia smarrita è smarrire lucidità d’ingegno e difesa. Un regno in tali condizioni è un regno destinato a cadere.
Se un regno teme un assalitore, molti pezzi del regno passano, inevitabilmente, dalla sua parte, e decretano la fine del Principe e del suo operato. Quindi, se il dialogo non è ben accetto, se l’amore ed il valore dimostrato è insufficiente, occorre fomentare la seria difesa e proteggere chi al suolo della terra dominata dà, effettivamente, il valore suo. Al machiavellismo dispiace, ad ogni uomo di criterio dispiace di quanto infima sia la natura sua e dei suoi simili, ma occorre farsene una ragione per non decadere in rovina. Il riflesso dell’assalto è coordinarlo per odio comune verso una minaccia agli interessi dei liberi cittadini e del libero essere semplicemente noi in rapporto controllato col prossimo.

“Onde è da notare che, nel conquistare uno Stato, il conquistatore deve rapidamente valutare tutte le violenze che gli è necessario fare, e farle tutte in un sol colpo, per non doverle rinnovare ogni giorno”

(dal Principe, cap. 8)

Il machiavellismo non esalta la violenza nel suo concetto, né alcuna Tirannia, ma prospera negli strumenti essenziali per la riuscita d’un disegno di società degna e tra questi molti, per giudizio, son immoralmente considerati, come la stessa frode, il riarmo, la milizia, risposta armata ad un agire armato, giustizia di bisogno. Il reale complesso s’alterna in equilibrio tra gli enti spregevoli e non. Il governo s’assume le responsabilità d’errare e di corrompersi in nome d’un giusto sistema che tutela ogni uomo del degrado di natura. 
Il Principe è L’Europa più buia, migliorata rispetto al tempo suo, oggi pretende difesa, null’altro.
Ogni cittadino chiede protezione per sé e per la propria famiglia dal governo suo e ogni governo domanda difesa, anche violenta se necessaria, dalle proprie, rispettate, parti.

LEGGI I CAPITOLI:

  1. PREMESSA
  2. LE PERVERSIONI D’UOMINI, IL FRENO
  3. IL SELVAGGIO ACCUMULO UMANO VA FOMENTATO PER BENE DELLA COMUNITÁ
  4. DIFESA VIOLENTA


Una replica a “Al principe di Machiavelli, la violenza d’esistere. In un mondo d’inferno occorre potere ai dannati. Perversioni, ricchezza e difesa. Condanna al sentirsi degni uomini.”

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